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CEDEFOP: DOVE STA ANDANDO LA FORMAZIONE?
Gen 4th
L'elemento centrale della nota del Cedefop sul modo in cui cambia la Formazione Professionale per rispondere all'evoluzione dei bisogni della società e del mercato del lavoro è l'analisi dei collegamenti e delle differenze tra Formazione Iniziale e Formazione Permanente. Qui alcuni estratti / sintesi.
Le tendenze rilevate riguardano:
- la riduzione del numero di qualifiche della formazione iniziale e l'ampliamento dei profili di riferimento, con la fusione di qualifiche simili in altre più generali e flessibili;
- la promozione di percorsi formativi incentrati sul discente, personalizzati e flessibili;
- qualifiche modularizzate, con la possibilità di ottenere qualificazioni parziali cumulabili in qualifiche piene; la possibilità di concordare quote significative dei percorsi con partner territoriali in risposta a bisogni locali;
- uno spostamento dell'attenzione da parametri predefiniti come la durata in ore a ciò che ci si aspetta che i discenti conoscano e siano in grado di fare alla fine di un processo formativo, i risultati dell'apprendimento;
- i curricula formativi della Formazione Iniziale non devono contenere solo competenze professionali ma anche conoscenze generali e abilità e competenze trasversali, meno mutevoli delle competenze tecniche, per affrontare sfide più ampie della #società e del #MercatoDelLavoro;
- incremento della formazione nel luogo di lavoro, in Italia chiaro spostamento della formazione dall'aula all'azienda, fondamentalmente per l'acquisizione di competenze specifiche che non possono essere acquisite in un contesto di tipo scolastico, un mix di ambienti (aula, azienda) previsti dalla Raccomandazione del 2020 del Consiglio UE sulla formazione professionale;
- la Formazione Iniziale ha la responsabilità di dotare per persone di una solida base di competenze generali e professionali per il futuro, la sua risposta a bisogni emergenti richiede tempo, mentre le competenze trasversali devono essere sviluppate attraverso la pratica e l’esperienza, ed è uno dei motivi per i quali è sempre più necessaria un'interazione tra formazione iniziale e #FormazionePermanente;
- il numero di centri di Formazione Iniziale è in calo mentre aumenta la loro autonomia; la Formazione Iniziale è diventata più flessibile in termini di durata, contenuti, età dei destinatari;
- la Formazione Permanente si è espansa con l'accelerazione della trasformazione tecnologica e dei cambiamenti strutturali del mercato del lavoro e viene ora offerta a tutti i livelli, dalla formazione di base all'istruzione superiore ed è resa in molte modalità, compresa una varietà di corsi online, anche in autoapprendimento;
- con l'eccezione di Italia, Cipro e Ungheria, la Formazione Iniziale accoglie in UE quote significative di adulti a un livello secondario superiore e post-secondario, grazie alla maggiore flessibilità dei percorsi;
- la Formazione Permanente è uno strumento necessario per ri(qualificare) la forza lavoro in base ai bisogni del mercato del lavoro, per aiutare le persone a reinserirsi nel mercato del lavoro, cambiare lavoro, o progredire nella propria carriera;
- l'offerta di Formazione Permanente spazia da livelli di competenze basilari ad avanzati e non si adatta a tradizionali schemi istituzionali o a strutture gerarchiche, articolandosi in formazione formale che porta a una qualifica piena (a qualunque livello) e offerta non formale e informale di competenze professionali e di altra natura (a qualunque livello) che non portano a una qualifica formale;
- i soggetti che offrono Formazione Iniziale giocano un ruolo fondamentale nell'offerta di Formazione Permanente per una qualifica formale; la validazione di apprendimenti pregressi può abbreviare il percorso verso una qualifica;
- in alcuni casi i corsi di Formazione Permanente corrispondono a unità e moduli che possono essere collegati e portare a una qualifica piena;
- alla modularizzazione dei programmi formativi corrisponde una progressiva formalizzazione della Formazione Permanente, che può avvenire attraverso il riconoscimento ufficiale di qualifiche parziali, programmi inclusi dei quadri nazionali delle qualifiche o l'integrazione di Formazione Permanente pubblica e privata;
- le microcredenziali e i badge digitali possono influenzare la futura integrazione di Formazione Iniziale e Permanente;
- Formazione Iniziale e Permanente giocheranno ruoli diversi nello sviluppo di competenze generali, professionali e trasversali,
- con la Formazione Iniziale che dovrà concentrarsi su conoscenze generali, competenze professionali di base e alcune competenze trasversali, la Formazione Permanente dovrà occuparsi dell'aggiornamento e dell’ampliamento di specifiche competenze professionali;
- sembra chiaro che non tutte le abilità e le competenze trasversali possono essere acquisite completamente nella formazione iniziale, devono essere sviluppate nel corso degli anni sul lavoro e nella vita;
- è necessario consentire a chi eroga Formazione di adattare l'offerta formativa alle specifiche caratteristiche dei discenti, con il sostegno di un sistema ben integrato di orientamento e validazione.
A proposito di ambienti di formazione ibridi strutture formative/aziende, interessante il piano olandese di trasformazione dei centri di formazione in centri regionali di formazione professionale e innovazione.

LA POLITICA DI PASQUALE
Apr 16th
Dalla fine di febbraio l’Italia, e progressivamente il mondo, vive tempi drammatici. Voci autorevoli, competenti organizzazioni internazionali prevedono facilmente una grandissima crisi economica con gravi risvolti sociali. Al momento sembra che resterà disoccupato a livello mondiale almeno l’equivalente di circa 200 milioni di lavoratori a tempo pieno.
Quindi sembra che la categoria degli “ultimi” avrà un notevole numero di nuovi ingressi.
E cosa succederà a coloro che erano magari temporaneamente “ultimi”, o quantomeno privi di reddito, al momento della catastrofe? Scivoleranno ancora più giù, in una nuova categoria, diciamo degli “ultraultimi”?
Si soccorre, giustamente, chi ha avuto un reddito fino a due mesi fa. Gli va garantita la continuità almeno del livello di sussistenza. Sì, è giusto.
Poi ci sono quegli altri, quelli che non si sa come campavano ma campavano: lavori in nero, lavoretti, altre attività non dichiarabili. In emergenza vanno sostenuti senza chiedersi come campavano. Certo. Magari hanno pure una seconda casa, ereditata, e non hanno potuto accedere al reddito di cittadinanza. Ok, abbuoniamogli la seconda casetta ereditata dal nonno, è equo.
Poi ci sono quelli che la casa ce l’avevano, una, che si sono pagati col mutuo. Qualcuno non ha nemmeno finito di pagarla. E se la sono dovuta vendere, per campare, o l’hanno persa. O quelli che sono stati licenziati e hanno campato del TFR che hanno, magari, solo parzialmente percepito. Magari ne hanno ancora un po’ in banca, ma finirà e non gli resterà più proprio niente. Non è detto che chi ha lavorato fino a 2 mesi fa sia in queste condizioni tragiche.
Tra quelli che si barcamenano da anni tra incarichi brevi, lavoretti e stratagemmi vari ci sono migliaia di operatori della formazione professionale siciliana e derivati sportelli multifunzionali (servizi di orientamento privati finanziati dalla Regione Siciliana, che dal 2000 al 2013 hanno costituito i servizi regionali per le politiche attive del lavoro). Tutti avevano un contratto di lavoro a tempo indeterminato molto spesso ultratrentennale e tutele legali. Tutto svanito in breve tempo.
Certo, ora bisogna affrontare la coesistenza con l’emergenza sanitaria, che non finirà presto, ammortizzare la crisi simmetrica della domanda e dell’offerta, la crisi di liquidità, il rischio di chiusura definitiva di molte aziende, lo spettro di un livello di disoccupazione devastante.
Quindi le questioni rimaste irrisolte (possiamo anche dire mai affrontate seriamente) rischiano di scivolare nel retropalco, lontano dalle luci del primo piano. Ma questo non vuol dire che i problemi non persistano, aggravati, incancreniti dagli anni passati, sospesi da provvedimenti eternamente imminenti ma mai arrivati. Sono arrivati i complimenti, il sincero apprezzamento per proposte e iniziative di gruppi di questi lavoratori, che però necessitavano di sostegno reale, anche solo normativo, per realizzarsi. Sostegno concreto, finora, mai arrivato. In 7 anni.
7 anni in cui i binari su cui si sono messi o sono stati indotti a mettersi i lavoratori sono stati resi binari morti, o lo erano già in partenza. Come l’illusorio reimpiego in un sistema che non avrebbe mai potuto riassorbire che quote irrisorie del personale, peggiorando ulteriormente le condizioni e le prospettive col confinamento dei lavoratori in un limbo nebuloso alimentato da una intenzionale ammuina. Come le iniziative di autoimpiego nell’ambito dei servizi per il lavoro, lasciate agonizzare senza muovere un dito ma circondate di belle parole.
L’atteggiamento pluriennale della politica dei vari schieramenti ricorda la scenetta di Totò e Mario Castellani a Studio Uno nel 1966. I lavoratori aspettano ancora di trovare qualcuno che si assuma la responsabilità di una soluzione. Introvabile. Già, perché essendo le colpe di quel Pasquale lì, che è certamente sempre un altro, la risposta nei fatti è sempre stata: “che mi frega a me, che so’ Pasquale io?”
I lavoratori però di “Pasquale” ne hanno ben presenti un elenco.
Nessuno si senta offeso.
Nessuno si senta escluso.

LA FORMAZIONE PROFESSIONALE SICILIANA E IL PROBLEMA DEL PERSONALE, SENZA TACERE DEI SERVIZI PER IL LAVORO
Lug 27th
Ha iniziato i suoi lavori il 23 luglio 2019 un tavolo tecnico istituito con decreto dall’assessore regionale del lavoro Antonio Scavone, "per l'individuazione di percorsi realmente attivabili per la risoluzione della crisi occupazionale interessante il bacino dei lavoratori della formazione professionale e degli operatori degli sportelli multifunzionali".
Perché questo tavolo? Il sistema della formazione professionale regionale siciliana con gli sportelli multifunzionali, strutture di orientamento a supporto dei centri per l’impiego soppresse nel 2013, era arrivato a contare a fine 2008 circa 8mila lavoratori a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda la situazione occupazionale degli operatori provenienti dal "vecchio regime", vincolare la soluzione del problema alla loro permanenza forzata nel sistema significa non risolvere il problema, come lo stato drammatico della questione testimonia. Una formazione professionale efficace e la piena occupazione del "vecchi" operatori sono due problemi distinti. E il secondo non può essere risolto dal solo assessorato della formazione e da quello del lavoro per quanto riguarda gli operatori degli sportelli multifunzionali.
Il modello del vecchio regime si basava su un sostanziale finanziamento delle organizzazioni, dalla legge 24 del 1976 in poi, mascherato da finanziamento a bando di corsi, poi di progetti, ma che non prevedeva alcuna competizione reale, essendo garantito da un anno all’altro lo stesso volume di finanziamento ai soggetti proponenti, il che consentiva agli enti di avere un organigramma pieno di gente e a tempo indeterminato. Con il finanziamento basato sul FSE si è passati inderogabilmente al finanziamento di azioni, che non consente di avere "corsifici" organizzati come stabilimenti industriali. Da qui non si esce.
Una delibera di giunta, la n.350 del 2010, riservava le tutele legali relative alla continuità lavorativa agli assunti a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2008. Quelle tutele legali potevano reggere finché gli operatori a rischio erano una quota marginale del totale. Non reggono quando implode il sistema per dimensioni eccessive e assenza di fondi (regionali) che possano alimentarlo. Assenza, sì, non carenza. E infatti le tutele non ci sono state.
La politica ha lasciato affondare la nave con gli operatori a bordo, senza alcun piano di salvataggio, senza alcun programma di ricollocazione. Zero. Temporeggiamento e chiacchiere. E incredibilmente le aspettative di una parte degli operatori, la più “rumorosa”, si sono progressivamente alzate, fino all’ipotesi di essere immessi totalmente nel pubblico impiego.
Eppure il governo Monti, avendo contezza della criticità della situazione, con il ministro Fabrizio Barca nel 2012 un piano per il personale l’avevano proposto. Sì, nel 2012. Riportiamo una semplice tabella dall’Allegato 9 del Piano di Azione Coesione Aggiornamento n.2, Priorità 6:
Si tratta di interventi per il personale. Mai attuati. I fondi ci risulta che siano stati destinati ad altro dalla Regione Siciliana. E nessun altro piano per il personale è stato nemmeno ipotizzato per anni.
Ora la V Commissione dell’Assemblea Regionale Siciliana ha approvato all’unanimità un disegno di legge di riforma del sistema della formazione professionale, il 506-128 della XVII legislatura, che abroga la precedente legge regionale, e con essa rende transitorie le tutele formali di questa legge, la LR 24/1976. Di fatto tutele che non hanno tutelato i livelli occupazionali stabili degli operatori da anni, semplicemente perché ciò è impossibile, in un sistema come quello attuale in cui i “posti di lavoro” fissi, a tempo indeterminato non possono essere tantissimi.
Quindi pensare di risolvere il problema occupazionale coniugandolo al presente e al futuro del sistema della formazione professionale appare alquanto privo di senso. Ma il problema persiste e riguarda migliaia di operatori, la grande maggioranza dei quali ha superato i 50 anni.
Anche per quanto riguarda gli operatori provenienti dalle strutture di orientamento il sistema dei servizi per il lavoro pare in grado di assorbirne stabilmente solo una parte.
Esortiamo quindi il tavolo tecnico succitato, i decisori politici, i sindacati e gli stessi operatori che lottano per ritrovare un’occupazione a costruire percorsi realistici, compatibili con le condizioni e con le norme, e alzino lo sguardo oltre i confini dell’attuale ambito della formazione professionale e dei servizi per il lavoro, troppo angusti per il numero di operatori a cui garantire un reinserimento lavorativo.

CHI HA PAURA DEL REDDITO DI CITTADINANZA?
Nov 24th
È arrivata una nuova sparata sul cosiddetto “reddito di cittadinanza”: diamo i fondi alle imprese che li utilizzeranno per formare il personale da assumere, sostanzialmente tenendoli in prova per il tempo di fruizione del sussidio. Cioè? Le aziende avrebbero per 2 anni personale retribuito dallo Stato? E quindi o sottopagato rispetto al ruolo o impiegato ad orario parziale. E di che natura sarebbe il rapporto?
Ci sono già istituti per l’inserimento in azienda di un lavoratore: uno spesso abusato, il tirocinio, uno sottoutilizzato, l’apprendistato. E quindi il senso di questa proposta?
Qualcuno potrebbe pensare che così ci sarebbe la certezza che i lavoratori disoccupati riceverebbero la formazione che serve in azienda e sarebbero assunti. Quindi l’azienda dovrebbe impegnarsi all’assunzione all’inizio del percorso? E a quali bisogni professionali risponderebbe l’inserimento del lavoratore? Quelli rilevati (o percepiti?) al momento dell’inizio del percorso o quelli previsti alla sua conclusione? Ci vorrebbe un progetto formativo? Chi garantirebbe la valenza formativa del percorso e la congruità della sua durata? E le aziende si scoprirebbero improvvisamente vocate alle assunzioni e alla cura della formazione del personale assunto, vocazione finora che non pare così largamente diffusa. E insomma: le domande potrebbero ancora moltiplicarsi.
Ci sono altre argomentazioni sulle quali in parte ci troviamo costretti a ripeterci: la famigerata curva di Beveridge per l’Italia. Il tasso di posti vacanti a livello nazionale è intorno ad un decimo del tasso di disoccupazione. Quindi i bisogni professionali attuali delle aziende non coprirebbero che un decimo dei disoccupati. In che modo i percorsi aziendali di questa reinterpretazione del reddito di cittadinanza si inserirebbero in questo contesto? È presumibile che i beneficiari della misura non siano esattamente i lavoratori più appetibili da parte delle imprese, i più occupabili.
E in un contesto in cui il rapporto tra posti vacanti e tasso di disoccupazione è più sfavorevole la soluzione ipotizzata sarebbe ancora meno praticabile. Ci sono aree, regioni, in Italia in cui si registra un tasso di disoccupazione più che doppio rispetto alla media nazionale. Per non parlare del tasso di occupazione e di inattività. La misura potrebbe portare una quota di inattivi a porsi almeno formalmente in cerca di un’occupazione, transitando così tra i disoccupati e peggiorando il rapporto tra posti vacanti e persone in cerca di lavoro.
Appare quindi necessario porsi il problema del significato reale della misura e degli obiettivi realistici che può porsi. Anche qui ci tocca ripeterci, citando il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, che ha appena compiuto un anno e che nelle intenzioni delle istituzioni della UE dovrà permeare le politiche europee e degli stati membri nei prossimi anni. Si tratta di 20 principi cardinali.
Il principio 14 recita:
Minimum income
Everyone lacking sufficient resources has the right to adequate minimum income benefits ensuring a life in dignity at all stages of life, and effective access to enabling goods and services. For those who can work, minimum income benefits should be combined with incentives to (re)integrate into the labour market.
In italiano:
Reddito minimo
Chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi. Per chi può lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi alla (re)integrazione nel mercato del lavoro.
E quindi è il caso di dire che la misura “ce la chiede l’Europa”.
Potremmo dire che la misura è una misura indispensabile di redistribuzione dei redditi a difesa del patto sociale, messo a rischio dall’evoluzione del mercato del lavoro, particolarmente critica in Italia. Questo non vuol dire che la misura debba consistere esclusivamente in una forma passiva di sostegno al reddito, né chi l’ha proposta già nel 2013 l’ha mai pensata così. Date le condizioni effettive del mercato del lavoro, le linee strategiche per conferire una natura attiva all’impianto del reddito di cittadinanza non possono limitarsi ad un mero rilevamento dei bisogni delle aziende hic et nunc, qui ed ora, perché altrimenti al massimo si potrebbe puntare a coprire quella quota di posti vacanti scarsamente rilevante nell’ottica dell’aumento del tasso di occupazione e in Italia già al di sotto di un livello fisiologico normale. Quindi bisogna alzare lo sguardo e puntare ad un orizzonte più ampio.
Il grande obiettivo di fondo è creare lavoro. E questo non si fa con i centri per l’impiego. Si fa con le politiche industriali, con le politiche di sviluppo sostenibile (coerenti con Agenda 2030 dell’Onu, che ha già compiuto 3 anni, che impegna tutti i paesi Onu al raggiungimento di 17 macro obiettivi interconnessi, tra i quali il contrasto alle diseguaglianze e il lavoro dignitoso per tutti), la ricerca, l’innovazione, e via declinando. Sulle persone in cerca di lavoro, sui lavoratori bisogna intervenire in termini di occupabilità, di sviluppo delle competenze, anticipando i bisogni professionali, che non corrispondono esattamente a quello che percepiscono le aziende e che possono comunicare in questo momento ad un “analista” attraverso qualcosa di molto simile ad una telefonata. Vanno sviluppate e manutenute quelle competenze che consentono agli “umani” di non essere sostituibili dalle macchine, competenze in continua evoluzione, guardando al paradigma di quello che qualcuno ha già cominciato a chiamare Industry 5.0, nel quale le macchine non eliminano gli umani dai processi produttivi ma ne potenziano le capacità.
C’è poi l’aspetto dell’autoimpiego, della creazione d’impresa, del lavoro autonomo in tutte le sue declinazioni, anche ibride. È un meccanismo non secondario per la fuoriuscita dallo stato di disoccupazione, come è noto, soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo. Difficile pensare di poterlo coniugare affidando esclusivamente le risorse alle aziende nell’ottica di un lavoro subordinato. È comunque certo che le imprese esistenti hanno e avrebbero comunque un ruolo centrale. Le nuove imprese, il lavoro autonomo non possono nascere e crescere come isolati cactus in un deserto: è necessario favorire e fertilizzare un ecosistema che ne consenta lo sviluppo in una logica di rete.
A chi fa paura tutta questa ineluttabile complessità, al punto di semplificarla a soluzioni da circolo della briscola?
Paolo La Carrubba
Presidente di Itinerari per il Lavoro
chi_ha_paura_del_reddito_di_cittadinanza.pdf

PAPOCCHI, AMMUINE E CASSATE: LA CRISI (SOCIALE) DELLA FORMAZIONE E DEI SERVIZI PER IL LAVORO IN SICILIA
Ago 13th
Il 9 agosto 2018 il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, invia una lettera al ministro Luigi Di Maio. Oggetto: “Formazione e sportellisti”. [ http://www.regioni.it/dalleregioni/2018/08/09/sicilia-regione-formazione-e-sportellisti-musumeci-scrive-a-di-maio-574042/ ]
Chi sono gli “sportellisti”? Perché il presidente della Regione Siciliana scrive al ministro? Che c’entra la Formazione? Gli “sportellisti” sono operatori che hanno lavorato in strutture private che offrivano servizi di orientamento, successivamente accreditate ai sensi del DM 166/2001 e finanziate dalla Regione Siciliana denominate “Sportelli Multifunzionali”. L’idea nacque sul finire degli anni ’90: ridurre il personale e la spesa per la formazione professionale trasferendo gli operatori in strutture orientative. Gli sportelli multifunzionali entrarono in funzione tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001. Dovevano diventare le sedi periferiche dell’Agenzia Regionale per l’Impiego e occuparsi di politiche attive del lavoro integrando l’azione dei centri per l’impiego, uffici periferici del Dipartimento Regionale del Lavoro.
Il presidente Musumeci scrive al ministro Di Maio: «Al di là di ogni possibile valutazione sulle origini e sulle cause che, in un lungo arco temporale, hanno generato, nel settore, il sovradimensionamento degli addetti - scrive ancora il presidente Musumeci - si consolida oggi una vera e propria emergenza sociale i cui impatti umani ed economici non sono ulteriormente tollerabili.» Vero: c’è un grande problema e va risolto, indipendentemente dalle cause che l’hanno generato. Però è il caso di capire cosa è successo e quando.
Nel 2003 il capitolo del bilancio della Regione Siciliana era lo stesso per formazione professionale e sportelli multifunzionali e la spesa ammontava a 116 milioni di euro. Nel 2010 la spesa complessiva ammontava a circa 347 milioni di euro: triplicata. La sola formazione professionale costava 278 milioni di euro. Ma non si sarebbe dovuta ridurre di volume, a seguito della fuoriuscita del personale verso quelle strutture orientative denominate sportelli multifunzionali? E invece… carta vince, carta perde… dopo lo scorporo della spesa per gli sportelli multifunzionali, nel 2005 la formazione professionale costava 119 milioni di euro e gli sportelli multifunzionali circa 48,5 milioni. C’era già stato un aumento della spesa nel 2004 di circa il 33%. Un altro salto da Guinness si è registrato nel 2006, l’anno successivo allo scorporo: la formazione professionale passò da un finanziamento di 119 milioni a 208,5 milioni. Nel frattempo lo stanziamento per gli sportelli multifunzionali passò dai 48,5 milioni del 2005 agli 84,5 milioni del 2010. Guarda caso, a fine 2010 gli sportelli multifunzionali escono dal bilancio regionale per essere finanziati con fondi europei, seguiti dalla formazione professionale: fondi europei che non finanziano stipendi, notoriamente, ma azioni, progetti. Qui si realizza il papocchio: cioè in 7 anni si è consapevolmente ingigantito un sistema già considerato ipertrofico, lanciandolo verso il crollo, puntualmente avvenuto, con le conseguenze occupazionali che oggi si cerca di sanare. Ma, come dice il presidente Musumeci, poco importa: il problema va risolto. Se però qualcuno avesse la curiosità di andare a vedere chi governava la Regione e il sistema…
Un altro elemento critico dell’analisi del presidente Musumeci riguarda le prospettive per il personale, rebus sic stantibus, considerato, come sopra riportato, comunque “sovradimensionato”, cioè eccessivo per il comparto: «questo governo regionale, nell'arco di sette mesi, ha ripristinato le attività formative, cosicché è oggi possibile prevedere il parziale riassorbimento occupazionale dei lavoratori da tempo fuoriusciti dal bacino» […] «A questo punto, con l'intento di definire condivise linee di azione, ritengo utile e necessario richiedere un confronto con la S.V. e con il ministero che Ella dirige al fine di individuare sostenibili obiettivi e programmare adeguati interventi, volti ad arginare e risolvere la descritta situazione di crisi»
Ma qual è a situazione reale del personale del comparto, al netto delle mistificazioni diffuse da più parti? Nelle tabelle che seguono riportiamo un’analisi dell’albo regionale degli operatori della formazione pubblicato lo scorso 23 luglio.
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Tra le cassate che riguardano l’argomento c’è quella arricchita e iperglassata riguardante il numero degli iscritti. Si legge da qualche parte che sarebbero 9.500. E invece no: sono 8.321. L’altra cassata confezionata ad arte sul tema è quella sul blocco delle assunzioni al 31 dicembre 2008. Il blocco non poteva esserci perché i soggetti che assumevano erano privati, e quindi liberi di assumere. Le assunzioni avrebbero potuto essere limitate con disposizioni indirette. Si è provato a bloccare l’iscrizione all’albo, con la deliberazione della giunta regionale n. 350 del 2010, impedendo l’iscrizione agli assunti successivamente al fatidico 31 dicembre 2008. Ma il TAR sentenzia regolarmente, su ricorso degli interessati, che non si può bloccare con una delibera della giunta regionale un albo istituito con una legge regionale (la LR 24 del 1976): è necessaria una norma di pari rango. E quindi i ricorrenti assunti dopo la suddetta data vengono regolarmente inseriti nell’albo.
Come ha agito la Regione Siciliana dal 2010 per ammortizzare l’implosione del sistema? Come ben si addice a questa parte importante del borbonico Regno delle Due Sicilia, facendo ammuina. Ovvero, con l’adozione del più siculo dei paradigmi, quello dell’“annacamento”: il massimo del movimento col minimo dello spostamento. E qui la più tradizionale delle Opere dei Pupi impallidirebbe per caratterizzazione delle parti, prevedibilità della pantomima, ovvietà del finale. Cioè? Cioè il nulla. Nessuna legge di riforma del comparto, nessun piano concreto per il personale; chiacchiere sterminate; rassicurazioni paternalistiche di politici di maggioranza, assessori, dirigenti generali, e sostegno alle proteste da parte di politici di opposizione; promesse di leggi, percorsi e risorse destinate. Piattaforme rivendicative di sindacati “istituzionali” e gruppi informali autocostituiti, singolari modi di alzare le pretese man mano che le “trattative” (termine obiettivamente esagerato) procedevano senza risultati. E poi guerre tra poveri e intimidazioni reciproche, corti dei miracoli e varia umanità alla ribalta. E poi la chiusura progressiva di molti enti di formazione, compresi i più grandi e tradizionali, presenti nel resto d’Italia, attività formativa quasi inesistente da anni, assenza di reali servizi per le politiche attive dal 2013. In una parola: il risultato di questi ultimi 8 anni è stata la desertificazione. A tutti gli attori in campo vanno i nostri più sinceri e sentiti complimenti, ma in particolare le congratulazioni vanno ai seguaci di Quinto Fabio Massimo detto Cunctator (il temporeggiatore), che probabilmente hanno conseguito i loro fini.
La madre di tutte le cassate è l’intenzione di alcune parti di far corrispondere le sorti del personale con quelle del comparto: il comparto deve tornare retrotopicamente allo stato degli anni del papocchio perché ciascuno possa “riprendere il proprio lavoro”. Ma al momento il comparto è finanziato con fondi europei, che hanno regole diverse da quelle autarchiche che si era potuta dare la Regione Siciliana, e i fondi disponibili sono notevolmente inferiori a quelli del primo decennio di questo secolo.
L’attuale assessore della formazione e dell’istruzione Prof. Roberto Lagalla, insieme ai suoi qualificati collaboratori, ha analizzato le risorse disponibili, il quadro normativo, le criticità che hanno impedito l’attività formativa negli scorsi anni e ha valutato quale sistema potesse essere costruito a partire da questi presupposti, facendo tesoro delle lezioni apprese dalle esperienze di altri territori (un must della programmazione europea, tra l’altro). È quindi stato delineato e realizzato un sistema possibile: un repertorio delle qualifiche aggiornato attraverso confronti con le parti sociali, un bando per la costituzione di un catalogo dell’offerta formativa, la concessione dei finanziamenti attraverso una procedura a sportello sulla base degli iscritti ai corsi in catalogo. Certamente il sistema sarà oggetto di una messa a punto, ma intanto si è messo in moto, con una sua consistenza. Contemporaneamente sono state implementate procedure per la selezione del personale da parte dei soggetti attuatori che potessero in qualche modo tutelare il personale dell’albo. Ma è la stessa fonte di finanziamento dell’attività che non consente di immaginare rapporti stabili per il personale attualmente iscritto all’albo e disoccupato. L’esigenza di tutelare il personale non può tra l’altro prescindere dalla superiore esigenza di offrire servizi efficaci, o almeno di provare a farlo. Niente che non fosse implementato in quest’ottica avrebbe la possibilità di sopravvivere più di qualche mese, come la storia recente insegna.
Quindi la tutela reale del personale sta nell’individuare un percorso per ciascuno, date le risorse disponibili presumibilmente al di fuori del comparto, con il concorso dell’intera giunta regionale e con la definizione di percorsi e risorse aggiuntive insieme al governo nazionale. Le dimensioni delle conseguenze occupazionali del crollo dopo il papocchio sarebbero state evidenziate come drammatiche da almeno 5 anni per qualunque altro comparto in qualunque altro posto del mondo occidentale. In Sicilia no: qui ammuina, cassate e annacamento. Per anni. Ovviamente il problema non si è ridotto di complessità, è solo sceso il numero dei soggetti “attivi” iscritti all’albo, per vari motivi, come è facile immaginare.
L’assessore Lagalla ha comunque lavorato su un piano per il personale che prevede pensionamenti anticipati, provando a dare concretezza a ipotesi formulate in anni precedenti, fuoriuscita volontaria, e ricollocazione all’esterno del comparto, con un accordo già firmato riguardante il programma Agenda Digitale.
Oltre ai programmi messi in atto dall’assessore Lagalla, nell’attuale legislatura appare significativo solo un altro atto, la deliberazione della giunta regionale n. 166 del 10 aprile 2018 (http://www.regione.sicilia.it/deliberegiunta/file/giunta/allegati/Delibera_166_18.pdf), che consiste nella definizione di un quadro strategico per la “Creazione rete servizi per il lavoro”, una rete che integri servizi per il lavoro, politiche attive del lavoro, attività formativa e istruzione. Ma si tratta appunto di una delibera quadro che finora purtroppo non ha avuto seguito.
Quindi sul fronte del personale proveniente dagli sportelli multifunzionali non ci sono atti concreti. Ci sono articoli di leggi collegate al bilancio della Regione Siciliana del 2016 e del 2017 che introducono la possibilità di affidare azioni di potenziamento dei centri per l’impiego all’ente in house Ciapi di Priolo e ai soggetti accreditati per i servizi per il lavoro, in regime di sussidiarietà orizzontale, così come avviene in altre regioni ed è consentito dal quadro nazionale. L’ottica è quella di impiegare il personale competente in servizi utili ed efficaci per i cittadini. Nelle sue dichiarazioni programmatiche, tra l’altro, il presidente Musumeci introduce l’ipotesi della creazione di un’agenzia unica regionale per la formazione e il lavoro, agenzia che trova spazio anche nell’ultimo documento di economia e finanza (DEF regionale), elemento fondamentale per il triennio 2018-2020. Un’agenzia con responsabilità dirette nell’erogazione di servizi per le politiche attive del lavoro e con “un ruolo di regia e coordinamento anche degli enti accreditati alla formazione ed ai servizi del lavoro”. Ma non c’è nemmeno un cenno di implementazione di tutto questo.
Il potenziamento dei servizi per il lavoro, dei servizi per le politiche attive del lavoro, è però un’esigenza che non può attendere ancora a lungo di essere soddisfatta, e questo sia a livello nazionale che regionale (lo stesso ministro Di Maio ha dichiarato che “La Sicilia è la regione che è messa peggio per quanto riguarda i centri per l'impiego” – (http://palermo.repubblica.it/politica/2018/07/22/news/di_maio_a_caltanissetta_noi_ai_trattati_con_nord_africa_e_canada_cosi_difenderemo_l_agricoltura_siciliani_-202411831/). I servizi italiani non sono nemmeno confrontabili con quelli degli altri paesi UE. E sembra impossibile raggiungere i livelli necessari in tempi accettabili con un sistema puramente pubblico. Servizi per le politiche attive del lavoro efficaci erano già necessari per completare il disegno del cosiddetto Jobs Act e lo sono ancora di più per l’implementazione delle politiche del lavoro e per lo sviluppo dell’attuale governo nazionale.
Sul sito del ministero del lavoro e delle politiche sociali il 10 agosto viene pubblicato un comunicato (http://www.lavoro.gov.it/stampa-e-media/comunicati/pagine/di-maio-su-ex-sportellisti-siciliani-cerchiamo-soluzione-a-danno-clientelare-generato-da-giunte-di-destra-e-sinistra.aspx/), dal quale si deduce innanzitutto che è necessario lavorare ancora un po’ per assicurarsi che il quadro siciliano sia chiaro al nuovo ministro e al suo staff, ma anche che il riordino del sistema siciliano, del quale la Regione Siciliana ha piena responsabilità, dovrà avvenire nel quadro delle strategie nazionali e con il fine di rafforzare l’attuazione delle politiche per il lavoro. Dal tono del comunicato sembra che il ministro escluda il riproporsi di nostalgici papocchi o di persistere nelle politiche dell’ammuina e dell’annacamento, e tantomeno di assecondare la diffusione di nuove cassate.
È necessario procedere per passaggi successivi: attivare immediatamente azioni transitorie che pongano in qualche modo rimedio agli anni di sterile inerzia, mobilitando ogni risorsa possibile, e nel frattempo costruire un sistema coerente, consistente, sostenibile. Che non abbia fondamenta di cartone che lo facciano crollare come i papocchi del recente passato.
Attenzione però che quel tavolo di confronto richiesto dal presidente della Regione Siciliana, facendo seguito a ragionamenti già condivisi con il livello nazionale, non diventi il campo di gioco per uno degli sport nazionali più praticati: il gioco del cerino. Se così fosse, qualcuno al tavolo si brucerebbe senz’altro le dita, ma definitivamente bruciati ne uscirebbero gli operatori del comparto e i cittadini siciliani, umiliati ancora dall’inesistenza di servizi fondamentali e di cui hanno diritto, dall’impossibilità di esercitare pienamente i propri diritti di cittadinanza, come ha recentemente osservato il direttore dello Svimez Luca Bianchi a proposito del Mezzogiorno nel suo complesso.
Siamo certi che la qualità e la determinazione di chi condividerà la regia del tavolo di confronto saranno in grado di scongiurare il rischio.