
LA UE, IL JOBS ACT, I SERVIZI PER IL LAVORO, LE POLITICHE ATTIVE
CREARE LAVORO – Catania 2 dicembre 2016
Lo scorso 2 dicembre (2016) si è tenuto a Catania un interessante convegno organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania sul tema Lavoro, con autorevoli relatori, portatori oltre che di contenuti anche di visioni e valutazioni. Tracciamo un percorso dei contenuti che riguardano più direttamente l’ecosistema in cui si svolge l’azione di Itinerari per il Lavoro.
L’evoluzione della strategia UE in cui si inquadra il cosiddetto Jobs Act (L. 183/2014 e i 9 decreti attuativi, considerando anche il decreto correttivo del 2016) è stata molto ben tracciata dal prof. Edoardo Ales dell’Università di Cassino.
In sintesi, gli obiettivi UE sono il pieno impiego, in contrasto all'esclusione sociale (che dovrebbe realizzarsi principalmente attraverso il lavoro) e la coesione sociale. Le strategie europee per l'occupazione non dipendono da chi guida un governo nazionale, e quindi nemmeno dal capo del governo italiano.
L'inizio del percorso va fissato nel 1997, al vertice di Lussemburgo, che precede il trattato di Amsterdam. Lo sviluppo della dimensione sociale nella UE è dovuto al focus Occupazione. L'approccio UE è paradigmatico, non orientato alla regolazione ma alle politiche, e quindi alla cooperazione tra stati membri e tra stati membri e UE. Si tratta quindi di soft law e non di hard law e costituisce uno stimolo per le realtà nazionali a stabilire cooperazioni virtuose con il coordinamento della UE. Non si tratta di un processo bottom-up ma circolare e dinamico tra le entità coinvolte. Le istituzioni UE non sono altro rispetto agli stati membri, come affermato da certa politica, ma nascono dagli stati membri, che ne fanno parte. L’Europa siamo anche noi: niente è calato dall’alto ma tutto è frutto di una “circuitazione”.
Sono 3 i pilastri che caratterizzano queste politiche per l’occupazione, in un approccio fortemente influenzato dal “quantitativo”, dal riscontro numerico di occupati e non occupati:
- Adattabilità e job creation, cioè lo stimolo alla creazione di posti di lavoro. Non c'è separazione tra diritto del lavoro e mercato del lavoro (come si vuole intendere quando si parla di "diritto dell'impiego", espressione criticata dal prof. Del Conte, perché sottintende un rapporto di lavoro subordinato mentre il lavoro è ormai un concetto molto più ampio che comprende, tra l'altro, l'autoimpiego). Ne è testimonianza la flexicurity, che coniuga i due ambiti ed è alla base di un nuovo paradigma del Diritto del Lavoro. Più che la flessibilità, l'aspetto cardinale è l'adattabilità (del lavoratore), che consente all'impresa di essere adattabile, di adattarsi cioè ai cambiamenti vorticosi del mercato. La job creation contempla anche la stimolazione dell'autoimprenditorialità e non solo il lavoro subordinato.
- Attivazione e stimolo ai servizi per l'impiego. L'efficacia dei servizi per l'impiego è un altro elemento fondamentale. Non c'è separazione tra aspetti previdenziali e servizi per il lavoro, e le risorse destinate all'assistenza vanno orientate verso politiche di attivazione. Cioè le misure di politica passiva, di sostegno al reddito, vanno inesorabilmente coniugate con misure di politica attiva del lavoro.
- Condizionalità. Non c'è protezione sociale senza un contributo attivo del soggetto beneficiario, e questo non per un sadismo intrinseco del sistema ma perché si è determinato che i sistemi di assistenza sociale pura sono delle trappole nelle quali l’individuo rimane inattivo.
La strategia europea per l'occupazione dal 1997 al 2005 [un’analisi della quale è reperibile qui: http://www.labeleuropeolingue.it/guida/biblioteca/dieci.pdf] si è basata su linee guida annuali, cosa che ha indotto una continua rincorsa degli stati membri per l'attuazione delle linee guida entro l'anno di validità.
Con il Consiglio di Lisbona nel 2000 viene introdotto il metodo di coordinamento aperto nella strategia per l'occupazione, che tocca anche le politiche di inclusione sociale.
Nel 2005 la Commissione Barroso cambia il paradigma del trattato di Roma: la dimensione sociale viene considerata legata a quella economica. Qualcuno ha criticato questa visione sostenendo che la dimensione sociale viene subordinata a quella economica. Il sociale era considerato materia di soft law, coordinamento, mentre ora, comprendendo la dimensione economica, si va verso l'hard law della convergenza. Nelle linee guida si integrano la dimensione economica e quella sociale. Da questa visione nasce anche Garanzia Giovani.
Una terza tipologia di intervento non si basa più su linee guida ma su una regolamentazione (es.: Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione), e non più in termini di monitoraggio ma di sorveglianza.
Gli obiettivi UE di questa strategia integrata sono 3:
- Pieno impiego. Il riferimento è l'art. 3 del trattato UE. Si articola i 3 sotto-obiettivi:
a. L'impiego del disoccupato e il supporto al disoccupato (con elementi di macroeconomia). Non solo stimolo, ma anche sostegno a chi si è attivato. Si è iniziato a parlare di European Unemployment Benefit Scheme [http://ec.europa.eu/social/BlobServlet?docId=14491&langId=en], cioè di una prestazione non più finanziata dagli stati nazionali ma dalla UE.
b. L'attivazione degli inattivi. L’aumento del numero di soggetti che da inattivi iniziano a cercare occupazione, e quindi aumentano il numero di disoccupati, è in sé un fatto positivo.
c. Diritto del lavoro orientato all'adattabilità, altrimenti si negherebbe la complessità del mercato e si ostacolerebbe l'adattamento dell'impresa, quindi sarebbe di freno allo sviluppo economico. Bisogna pensare ad un diritto del lavoro che corrisponda elle esigenze di adattabilità ma che riesca anche a sviluppare gli anticorpi contro la precarietà del lavoro. Lavoratore adattabile non significa lavoratore precario. La nuova disciplina delle mansioni (ora modificabili) va in questa direzione.
- Contrasto dell'esclusione sociale. Cioè favorire l'inclusione sociale: i documenti comunitari dicono che l’inclusione sociale passa attraverso il lavoro. Cioè il lavoro è strumento fondamentale di inclusione sociale. La nostra Costituzione lo ribadisce almeno 3 volte (articoli 1, 3 e 4): la vera cittadinanza è cittadinanza nel lavoro. C’è una fortissima corrente di pensiero che invece sostiene che la cittadinanza si fa attraverso il reddito minimo garantito, ma queste tesi rischiano di far tornare verso l'assistenza. Laddove si è sperimentato questo modello i risultati non sono stati soddisfacenti. Quindi l'abbandono della logica della pura assistenza è nell'interesse dei lavoratori. Se il reddito prevede forme di attivazione non è più "reddito di cittadinanza" ma "reddito di attivazione" o di sostegno ai non occupati nella ricerca attiva di un lavoro, un sostegno che duri finché la ricerca non abbia un esito positivo. D'altra parte una visione puramente assistenziale è in contrasto con quanto previsto dal comma 1 dell'art. 38 della Costituzione.
- Coesione sociale. Prevista dal trattato UE, si propone di migliorare e uniformare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini UE. Questo comporterebbe l’eliminazione dei differenziali tra le regioni. Non sarebbe possibile, ad esempio, appaltare in Germania (caso realmente accaduto) con lavoratori polacchi e retribuirli secondo i salari polacchi. Una corte tedesca ha invece sentenziato che i lavoratori vanno retribuiti secondo le condizioni contrattuali polacche, come previsto dal bando e in contrasto con il diritto comunitario.
Lo scenario UE si sta evolvendo nella direzione dell'integrazione dei 3 obiettivi. Parte dalla soft law, il coordinamento, e va verso la convergenza, hard law, coniugando dimensione economica e sociale. La stessa direzione prendono le linee guida, che diventano cogenti.
Il percorso seguito dalle strategie europee per l’occupazione e la confluenza di politiche di inclusione sociale e del lavoro indicano che almeno la linea del D.Lgs. 150/2015 del Jobs Act riguardante i servizi per il lavoro e le politiche attive non ha grandi alternative, se non nelle scelte di implementazione pratica. Emerge altresì che il ruolo delle organizzazioni no profit nei servizi per il lavoro e per le politiche attive è di rilevanza centrale, proprio per la valenza sociale e certamente non burocratica che i servizi offerti devono garantire, non essendo il servizio pubblico sufficiente sotto diversi aspetti a rispondere ai bisogni (come ha sostenuto Sergio Vergari e come riportato più avanti), né possono esserlo sul piano sociale le agenzie private che mirano al profitto attraverso l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro.
Maurizio Del Conte ha espresso il suo dissenso verso la concezione che considera separati il Diritto del Lavoro e il cosiddetto “Diritto dell’Impiego”, che invece sono significativamente connessi quando si parla di attivazione, di ricerca del lavoro e non solo, e quindi sarebbe meglio definire il secondo ambito “Diritto dell’Occupazione”. Ha rassicurato rispetto al timore delle Regioni più virtuose di subire un appiattimento verso il basso. La direzione che si intende prendere è opposta, comunque nel rispetto di specificità regionali. Pilastro dell’azione dell’Anpal è il sistema informativo, che confidiamo implementi presto realmente le funzionalità necessarie e promesse per tutti gli operatori della rete dei servizi per le politiche attive del lavoro. Non risulta possibile, ad esempio, per gli operatori no profit adempiere agli obblighi previsti dal D.Lgs. 276/2003 (conferimento dei dati acquisiti in base alle indicazioni rese dai lavoratori e a quelle rese dalle imprese).
Per quanto riguarda l’assegno di ricollocazione, la sperimentazione va necessariamente condotta su tutto il territorio nazionale e consentirà una valutazione complessiva della misura, a partire dalla sua appetibilità per i percettori di sostegno al reddito.
Il D.Lgs. 150 non propone una visione centralista, ma responsabilizza il livello statale, con un coordinamento del sistema, attivando una complementarità tra azione nazionale e regionale che funga da moltiplicatore dell’efficacia dei servizi per il lavoro, per i quali resta determinante la dimensione territoriale. Ci deve essere un sistema di politiche attive che funzioni in tutti i territori.
Il prof. Del Conte aveva preannunciato che dopo il 4 dicembre si sarebbe aperta in ogni caso una fase interessante.
Infine, dopo aver offerto ulteriori contributi ai temi trattati da Ales, Del Conte ha sottolineato che l’attivazione del lavoratore legata al sostegno al reddito (e cioè la convergenza tra politiche passive e attive del lavoro) non ce la siamo inventata né oggi né in Italia ma è ormai una consolidata strategia UE, e come tale ineludibile.
Molto interessante la seconda parte dell’intervento di Sergio Vergari, direttore dell’Ispettorato del Lavoro di Trento. Ha confermato che nell’attuazione del D.Lgs. 150/2015 l’intenzione è sicuramente quella di valorizzare le esperienze delle Regioni più avanzate in una logica di condivisione e integrazione in un sistema unitario. La rete nazionale è un contenitore importantissimo che consente piena collaborazione, in cui tutti i soggetti interessati si possono riconoscere, e va valorizzato. C’è tuttavia una carenza di regole che definiscano i rapporti tra le reti regionali esistenti e la nuova rete nazionale. Inoltre nel D.Lgs. 150 non vengono citate le Regioni ma solo le loro strutture.
Bisognerebbe mantenere l’accreditamento come unico percorso per ottenere ”in concessione” l’erogazione di un servizio pubblico, riservando l’autorizzazione nazionale all’attività privata. Questo per salvaguardare il diritto del sistema pubblico ad alzare l’asticella con criteri che non siano quelli del mercato. Questo è importante anche per la necessità che i soggetti accreditati offrano anche i servizi previsti dall’art. 18 del D.Lgs. 150. Questa è esattamente l’ottica in cui agisce Itinerari per il Lavoro, e sono i servizi indicati dal comma 1 dell’articolo 18 quelli per cui è rilevante l’azione delle organizzazioni no profit, nel regime di sussidiarietà previsto dal comma 2 dello stesso articolo, tenuto conto delle rilevantissime discrepanze tra il numero degli addetti ai servizi per il lavoro italiani rispetto a quelli delle maggiori nazioni europee.
Per quanto riguarda il potere sostitutivo dell’Anpal rispetto alle Regioni, gli spazi che potrà prendere l’Anpal dipenderanno dall’efficacia delle azioni delle Regioni.
C’è il rischio per i CPI di un ritorno neoburocratico, ad esempio nelle procedure che riguardano la condizionalità e i patti di servizio.
Uno dei problemi riguarda la necessità di conciliare la parità di trattamento con la personalizzazione dei servizi, con il rischio dell’introduzione di un eccesso di soggettività da parte dell’operatore, anche nella fase di profiling. Bisogna guardare all’introduzione di tecniche predittive, in grado di indagare, ad esempio, perché nei patti di servizio vengono inseriti alcuni elementi e altri no.
Altre questioni che aspettano risposte riguardano la definizione delle unità di costo standard [che consentono la sussidiarietà nei servizi di cui all’art.18 del D.Lgs. 150] e la definizione di standard nazionali, tenendo presente che il concetto di LEP rientra in una logica diritti/doveri mentre il Jobs Act si inquadra in una logica di efficacia dei servizi.
Per quanto riguarda l’assegno di ricollocazione, sembra più adatto a chi è più vicino al mercato del lavoro che a chi ne è lontano. Inoltre non ci sono solo i percettori di sostegno al reddito, che in qualche modo fruiscono già di una tutela: i servizi vanno offerti a tutti i disoccupati.
Bisogna capire inoltre in che modo la condizionalità va applicata ai soggetti in assistenza intensiva.
Per quanto riguarda la concorrenza tra soggetti che offrono servizi per il lavoro, è il cittadino che regola il mercato con la scelta dell’operatore, ma i territori hanno diversità, ad esempio con zone con CPI deboli o privati latitanti per assenza di mercato. Quindi noi reputiamo necessario un coordinamento bilanciato e tarato sulle caratteristiche territoriali delle risorse, delle azioni e delle misure.
Per il prof. Marco Esposito, dell’Università Parthenope di Napoli, l’assegno di ricollocazione sembra un’anomalia a vantaggio delle agenzie di somministrazione, che potrebbero non fare altro che valorizzare in house il bonus decontribuzione della legge di bilancio, assumendo a tempo indeterminato il lavoratore, coniugandolo con il voucher dell’assegno di ricollocazione, ma qualcuno lo può vedere come stimolo a fargli fare quello che avrebbero sempre dovuto fare.
Francesco Giubileo, sociologo e membro del CDA dell’Afol Metropolitana di Milano, ha esposto le caratteristiche e le criticità del modello anglosassone dei servizi per il lavoro “Welfare to work”, caratterizzato da una complementarità pura tra pubblico e privato e fortemente orientato al risultato occupazionale, al punto che i service providers sono retribuiti quasi interamente a risultati occupazionali raggiunti, in termini di lavoro duraturo ottenuto dai partecipanti. Gli importi sono tanto più alti quanto più il partecipante è lontano dal mercato del lavoro. I service providers locali sono considerati i più indicati per identificare il modo più efficace per supportare l’inserimento nel lavoro duraturo ed è stata loro data libertà operativa senza particolari prescrizioni dalle istituzioni governative. I servizi providers sono liberi di innovare. Il paese è suddiviso in 18 aree contrattuali nelle quali i prime providers attuano contratti di servizio quinquennali. Tra i prime providers ci sono soggetti privati profit e no profit e soggetti pubblici.
Il percorso di supporto ai disoccupati è strutturato a stadi successivi: 3-3-6 mesi curati da Jobcentre Plus, con livello di gestione dell’attivazione del lavoratore crescente. I privati entrano in campo nella quarta fase (Work Programme), con un supporto personalizzato di una durata massima di 24 mesi. Le slide di riferimento si possono trovare qui: http://www.pietroichino.it/wp-content/uploads/2015/11/The-Merlin-Standard-PPT-x-Pietro-Ichino.pdf
Giubileo ha sottolineato come i risultati del servizio siano significativamente correlati alle competenze degli operatori. Ad esempio, il servizio Eures dell’Afol Metropolitana di Milano è estremamente efficace pur essendo offerto solo da 4 operatori, ma di competenze elevate, anche linguistiche.
Ruolo fondamentale è la valutazione del servizio, non il semplice monitoraggio, aspetto decisamente carente in Italia, unico stato europeo, ad esempio, a non aver attivato una valutazione degli esiti del programma Garanzia Giovani.
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