RESTINO POVERI

A volte si ha l’impressione che la maggioranza degli opinionisti, giornalisti, politici, esperti e sedicenti esperti su argomenti complessi e multidimensionali come il mercato del lavoro e la protezione sociale siano convinti che loro qui in Italia abbiano capito tutto e la sappiano lunghissima mentre gli organismi UE, ONU, OCSE e gli altri Paesi siano governati da manipoli di fessi ignoranti.

Già, perché se non fosse così almeno qualcuno di loro il dubbio se lo porrebbe ed eserciterebbe la curiosità di andare a vedere cosa dicono, fanno, suggeriscono gli altri, che magari hanno studiato più di coloro che ammanniscono ricette “solidissime” basate su assiomi che finiscono per essere largamente condivisi per inerzia, ma che a seguito di un serio confronto risulterebbero di scarso fondamento.

Uno di questi assiomi riguarda gli esclusi dal mercato del lavoro, che finiscono in povertà, magari con problemi “multidimensionali”: “bisogna tenere separate le politiche di contrasto alla povertà dalle politiche attive del lavoro”, con il corollario che molti poveri (un terzo?) “non può” lavorare. In un paese in cui molti credono che da malattie irreversibili e terminali si possa improvvisamente guarire, che una persona in coma irreversibile possa improvvisamente svegliarsi, si è in grado di sentenziare la fine lavorativa di un cittadino, “a prescindere”. Come assioma è da preferire l’opposto, dell’allora ministro francese del lavoro, Muriel Pénicaud: “Nessuno è inoccupabile!

Inoltre, molti dei sostenitori della separazione delle politiche di inclusione lavorativa da quelle di garanzia di un minimo vitale sono gli stessi che hanno approvato negli scorsi anni le norme prima sul Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) prima e sul Reddito di Inclusione (ReI) poi, misure articolate che prevedevano entrambe l’integrazione e non la separazione delle due linee di intervento.

Sembra il caso di “spizzicare” tra i documenti della UE per farsi un’idea di quali siano gli orientamenti comunitari in merito.

Iniziamo la nostra breve e parziale visita guidata agli orientamenti UE dalla Proposta di raccomandazione sul reddito minimo della Commissione Europea, sulla quale la Commissione ha raccolto contributi dal 2 marzo al 1° aprile 2022 e la cui adozione è prevista per il terzo trimestre 2022. Il sommario dell’iniziativa sulla pagina istituzionale (https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/13294-Raccomandazione-sul-reddito-minimo_it ) è questo:

L'iniziativa punta a sostenere le politiche promosse dagli Stati membri per combattere la povertà e prevenire l'esclusione sociale.

Si richiama al principio 14 del pilastro europeo dei diritti sociali, secondo cui chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa e l'accesso a beni e servizi essenziali.

Per chi può lavorare, il reddito minimo andrebbe combinato con incentivi al (re)inserimento nel mercato del lavoro.

È evidente che l’esplorazione potrebbe anche finire qui, con buona pace degli italici surfisti che cavalcano le onde di questioni epocali senza approfondire. Ma faremo ancora qualche passo, a partire dal Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, di cui è stato citato il principio 14, adottato dalla UE a fine 2017 e praticamente ignorato in Italia.

“Il pilastro europeo dei diritti sociali esprime principi e diritti fondamentali per assicurare l’equità e il buon funzionamento dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale nell’Europa del 21º secolo. Ribadisce alcuni dei diritti già presenti nell’acquis [L'acquis dell'UE corrisponde alla piattaforma comune di diritti ed obblighi che vincolano l’insieme dei paesi dell'UE quali membri dell'UE] dell’Unione. Aggiunge nuovi principi per affrontare le sfide derivanti dai cambiamenti sociali, tecnologici ed economici. Affinché i principi e i diritti siano giuridicamente vincolanti, è prima necessario adottare misure specifiche o atti normativi al livello appropriato.”

Dal momento della sua adozione, quindi, il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali è il riferimento per le politiche UE e degli stati membri in materia di mercato del lavoro e di protezione sociale. All’inizio del 2021 la Commissione ha adottato un Piano d’Azione per l’attuazione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, che trasforma i 20 principi in azioni concrete a vantaggio dei cittadini e definisce una serie di obiettivi che l'UE è chiamata a raggiungere entro il 2030.

Quindi è evidente che non si tratta di iniziative meramente formali, e anche il principio 14 avrà una prospettiva di completa attuazione, come testimonia la proposta di raccomandazione di cui sopra e che sta per essere adottata.

Si potrebbe pensare che l’idea di combinare inserimento lavorativo (o, più in generale, politiche attive del lavoro) e protezione sociale per nuclei familiari in condizioni di povertà sia un’idea recente e faranno in tempo ad abbandonarla.

Il 21 ottobre 2010 il Consiglio UE adottò una decisione “sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione”, nell’ambito della quale si legge:

I sistemi di protezione sociale, ivi compresi quelli pensionistici e l’accesso alla sanità pubblica, dovrebbero essere modernizzati e resi capaci di fornire un sostegno del reddito e servizi adeguati, creando in tal modo coesione sociale, e rimanere nel contempo finanziariamente sostenibili ed incoraggiare la partecipazione alla società e al mercato del lavoro”.

Il Parlamento Europeo il giorno prima, 20 ottobre 2010, aveva approvato una risoluzione “sul ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa”. Alcuni dei punti che costituiscono la risoluzione:

sottolinea la necessità di misure concrete che sradichino la povertà e l'esclusione sociale, esplorando strategie di ritorno all'occupazione, favorendo un'equa ridistribuzione del reddito e della ricchezza, garantendo regimi di reddito minimo e, dunque, dando un senso e un contenuto autentici all'Anno europeo della lotta alla povertà e assicurando altresì un potente retaggio politico alla realizzazione degli obiettivi del millennio per lo sviluppo, compresa la garanzia di sistemi di reddito minimo atti a prevenire la povertà e a favorire l'inclusione sociale sulla base delle varie prassi nazionali, delle convenzioni collettive o della legislazione nazionale in tutta l'Unione europea, nonché lavorando attivamente alla promozione di regimi adeguati di reddito e di protezione sociale; invita gli Stati membri a rivedere le loro politiche intese a garantire un reddito adeguato, consapevole che la lotta alla povertà presuppone la creazione di posti di lavoro dignitosi e durevoli per le categorie sociali svantaggiate sul mercato del lavoro; ritiene che tutti i lavoratori abbiano diritto ad un'esistenza dignitosa; considera che una politica sociale nazionale presupponga altresì una politica attiva in materia di mercato del lavoro;

sottolinea l'esigenza di valorizzare i programmi di apprendimento permanente quali strumenti di base con cui combattere la povertà e l'esclusione sociale attraverso l'incremento dell'occupabilità e l'accesso alle conoscenze e al mercato del lavoro; ritiene necessario incentivare una maggiore partecipazione all'apprendimento permanente da parte dei lavoratori, dei disoccupati e di tutti i gruppi sociali vulnerabili e intraprendere azioni efficaci per contrastare i fattori che portano all'abbandono scolastico, nonché migliorare il livello delle qualifiche professionali e l'acquisizione di nuove competenze, al fine di favorire una più rapida reintegrazione nel mercato del lavoro, aumentare la produttività e aiutare le persone a trovare un lavoro migliore;

ritiene che i regimi di reddito minimo debbano essere integrati in un approccio strategico orientato all'integrazione sociale, che preveda sia misure generali sia politiche mirate relative ad alloggi, assistenza sanitaria, istruzione e formazione e servizi sociali, al fine di aiutare le persone a uscire dalla povertà e ad adoperarsi per l'inclusione sociale e l'accesso al mercato del lavoro; ritiene che il reale obiettivo dei regimi di reddito minimo non sia semplicemente assistere, ma soprattutto sostenere i beneficiari a passare da situazioni di esclusione sociale a una vita attiva;

ribadisce che, benché importanti, i regimi di reddito minimo debbano essere accompagnati da una strategia coordinata a livello nazionale e di Unione europea, incentrata su azioni di ampia portata, oltre che da misure specifiche, tra cui politiche attive per il mercato del lavoro rivolte ai gruppi più distanti da tale mercato, istruzione e formazione per le persone meno qualificate, retribuzioni minime, politiche di edilizia popolare e fornitura di servizi pubblici accessibili, di qualità e a prezzi accessibili;

La risoluzione fa riferimento alla Raccomandazione del Consiglio UE del 24 giugno 1992 (92 / 441 / CEE) “in cui si definiscono i criteri comuni in materia di risorse e prestazioni sufficienti nei sistemi di protezione sociale

Alcuni passaggi di questa trentennale Raccomandazione, cosa raccomanda il Consiglio UE agli Stati Membri (sottolineiamo che l’ambito di azione della Raccomandazione è la protezione sociale):

“I sistemi di protezione sociale devono fare in modo di adattarsi all'evoluzione dei comportamenti e delle strutture familiari, qualora questa comporti l'emergere di nuove necessità di protezione sociale connesse in particolare con le trasformazioni del mercato del lavoro e con l'evoluzione demografica.

“Conformemente alle disposizioni della raccomandazione del 24 giugno 1992, fatta salva la loro disponibilità attiva al lavoro, garantire risorse minime, alle persone senza lavoro legalmente residenti nel territorio dello Stato membro.”

Mettere in funzione, a favore dei disoccupati e in particolare dei giovani che si affacciano sul mercato del lavoro e dei disoccupati di lunga durata, meccanismi di lotta contro l'esclusione miranti a migliorarne l'inserimento nel mercato del lavoro, fatta salva la loro disponibilità al lavoro o alla formazione professionale al fine di ottenere un lavoro.”

E ancora, la Raccomandazione del 24 giugno 1992 fa riferimento alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata dal Consiglio europeo di Strasburgo il 9 dicembre 1989, che “sancisce i principi fondamentali su cui poggia il nostro modello europeo di diritto del lavoro”.

Il principio 6:

6. Ogni persona deve poter beneficiare gratuitamente dei servizi pubblici di collocamento.

Il principio 10:

Secondo le modalità specifiche di ciascun paese:

  1. Ogni lavoratore della Comunità europea ha diritto ad una protezione sociale adeguata e deve beneficiare, a prescindere dal suo regime e dalla dimensione dell'impresa in cui lavora, di prestazioni di sicurezza sociale ad un livello sufficiente.

Le persone escluse dal mercato del lavoro, o perché non hanno potuto accedervi o perché non hanno potuto reinserirvisi, e che sono prive di mezzi di sostentamento devono poter beneficiare di prestazioni e di risorse sufficienti adeguate alla loro situazione personale.

Allarghiamo lo sguardo all’ambito mondiale. Nel 2009, l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, International Labour Organization, agenzia dell’ONU ultracentenaria e massima autorità mondiale in materia di lavoro) e l'Unione Europea hanno lanciato un progetto intitolato “Migliorare la protezione sociale e promuovere l'occupazione” (“Improving social protection and promoting employment”) come reazione alla crisi economica internazionale.

Sia l'ILO che l'Unione Europea hanno ideato il progetto in linea con i loro impegni, come enunciato nel Consenso europeo sullo sviluppo e l'impegno della bbUE per un lavoro dignitoso per tutti, nonché nella Dichiarazione dell'ILO sulla giustizia sociale per una globalizzazione equa (2008). L'ipotesi era che un quadro coerente per le politiche occupazionali e di protezione sociale avrebbe avuto un impatto maggiore rispetto a politiche isolate. La spinta principale del disegno progettuale è stata il riconoscimento che i problemi occupazionali e di protezione sociale non possono essere risolti attraverso interventi frammentati e isolati; che è necessaria un'azione sostenuta e concertata in un'ampia gamma di settori politici e che coinvolga un gran numero di organizzazioni interessate.

Attuato il progetto in alcuni paesi pilota, ne hanno fornito un rapporto in “Coordinating social protection and employment policies”, “Coordinare le politiche di protezione sociale e per l’occupazione”, dalla cui prefazione è tratta l’ultima citazione.

Dovrebbe essere chiarissimo (si potrebbe anche aggiungere una rassegna di quello che succede in altri paesi, ma ci asteniamo) che LE POLITCHE DI PROTEZIONE SOCIALE, COMPRESO IL REDDITO MINIMO, DEVONO (NON “POSSONO”) ESSERE COMBINATE. Ma certo, noi possiamo andare contro le politiche UE, ONU, le indicazioni di agenzie sovranazionali e centri studi, perché no? E magari uscire da tutti questi organismi e pure dall’euro, una volta che siamo orientati verso le uscite. Diciamo che non sarebbe una strategia particolarmente intelligente.

Ma d’altra parte, da un paese che da quando esiste l’European Skills Index del Cedefop (agenzia UE per la formazione e l’orientamento) colloca al 31° posto su 31 stati ci si può aspettare qualunque comportamento autolesionistico, consapevole o meno che sia.

L’European Skills Index è un indice composito di misurazione delle prestazioni dei sistemi delle

Composizione dell'European Skills Index
Composizione dell'European Skills Index

competenze articolato sulle tre fasi: sviluppo, attivazione, incrocio (delle competenze). Quindi misura anche l’efficacia dei servizi per il lavoro.

Sorge quindi il sospetto che le stravaganze diffuse assiomaticamente e senza fondamento su reddito minimo (reddito di cittadinanza) e politiche attive del lavoro / servizi per il lavoro, derivino da una sostanziale ignoranza di quello che sono, di quello che non sono e che dovrebbero essere gli italici servizi per il lavoro, pubblici o privati che siano. Qui dà un eccellente contributo alla comprensione della questione Riccardo Maggiolo: “Il fallimento dei navigator è la sconfitta di tutti noi”, https://www.huffingtonpost.it/blog/2022/07/30/news/il_fallimento_dei_navigator_e_la_sconfitta_di_tutti_noi-9965131/ .

Sorge altresì il sospetto che la “cura” dei poveri sia talmente oggetto dell’azione di alcune filiere, che ci si tenga così tanto ai propri poveri... che si può mica rischiare che con un’azione prolungata, multidimensionale e faticosa (vedi Riccardo Maggiolo) dalla povertà possano uscire. No, meglio semplificare e sentenziarne la morte civile ed economica, e garantirsene così una certa quota. Ci sono arrivati alla povertà? Bene, e ora poveri lo restino.

Cosa resta ai poveri
Filiere

https://ventomatteo.files.wordpress.com/2015/02/trickle-down.gif