Categorie: "Le politiche del lavoro"

RACCOMANDAZIONE DEL CONSIGLIO UE SUL REDDITO MINIMO (REDDITO DI CITTADINANZA)

A seguito dell'accordo dell'8 dicembre 2022, il 19 dicembre 2022 il Consiglio UE ha adottato la RACCOMANDAZIONE relativa a un adeguato Reddito Minimo che garantisca l'inclusione attiva. Ricordiamo che in Italia il reddito minimo ha assunto la denominazione di "Reddito Di Cittadinanza". Qui alcuni estratti/sintesi:

  • Mirare a combattere la povertà e l'esclusione sociale e perseguire livelli elevati di occupazione per garantire una vita dignitosa in TUTTE le fasi della vita.
  • Garantire un accesso effettivo ai servizi abilitanti ed essenziali alle persone che non dispongono di risorse sufficienti e favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di chi può lavorare
  • Adottare un approccio INTEGRATO di tre parti strategiche: adeguata integrazione del reddito, mercati del lavoro che favoriscono l'inserimento e accesso a servizi di qualità.
  • Un'occupazione SOSTENIBILE e di QUALITÀ è il modo migliore per uscire dalla povertà e dall'esclusione sociale. Di fondamentale importanza un adeguato sostegno alle persone nelle transizioni nel mercato del lavoro.
  • Solide reti di sicurezza sociale per agevolare la (re)integrazione nel mercato del lavoro di chi può lavorare, attraverso misure di sostegno specifiche, che associno misure attive per il mercato del lavoro, il sostegno alla ricerca di un impiego, l'istruzione e la formazione.
  • Il sostegno al reddito è adeguato quando garantisce una vita dignitosa in tutte le fasi della vita. È evidente che il REDDITO DA LAVORO DOVREBBE ESSERE SUPERIORE all'entità del sostegno.
  • Colmare le lacune nella copertura del reddito minimo adottando criteri d'accesso non discriminatori. L'età, la disponibilità di un indirizzo permanente o il requisito di un soggiorno legale sproporzionatamente lungo non dovrebbero costituire un ostacolo all'accesso al reddito minimo.
  • Un mercato del lavoro che favorisca l'inserimento e che sia accessibile a tutti riduce la dipendenza a lungo termine dal sostegno al reddito, accompagnati da servizi di sostegno quali consulenza, coaching e assistenza nella ricerca di un lavoro e da misure volte a garantire l'equilibrio tra vita professionale e vita privata.
  • Opportunità di miglioramento e ampliamento delle competenze, un sostegno e un orientamento personalizzati che rispondano a esigenze specifiche, la garanzia di posti di lavoro di qualità, la promozione della conservazione del posto di lavoro e le possibilità di fare progressi nell'attività lavorativa possono sostenere la transizione verso l'occupazione a tutte le età.
  • Gli Stati membri garantiscano CONTINUITÀ dell'accesso al reddito minimo ai beneficiari, finché non dispongono di risorse sufficienti secondo i criteri di ammissibilità previsti dalla legge.
  • Si raccomanda agli Stati membri di incoraggiare o agevolare il pieno utilizzo del reddito minimo.
  • Combinare il sostegno al reddito con i redditi da lavoro, una revoca graduale del sostegno al reddito o il mantenimento del sostegno al reddito durante lavori di breve durata, periodi di prova e tirocini.
  • Agevolare l'occupazione attraverso incentivi all'assunzione, sostegno al collocamento e sostegno post-collocamento, tutoraggio, consulenza, promozione della conservazione del posto di lavoro e dei progressi nell'attività lavorativa.
  • Come sostenere i beneficiari della misura? Come stabilire se oltre che all'inclusione sociale si possa/debba puntare all'inclusione lavorativa? Attraverso un SOSTEGNO PERSONALIZZATO che preveda una valutazione multidimensionale, un esame degli ostacoli che si frappongono all'inclusione sociale e all'occupazione, elaborando un piano di inclusione e sostenendo il beneficiario nella sua attuazione.

RESTINO POVERI

A volte si ha l’impressione che la maggioranza degli opinionisti, giornalisti, politici, esperti e sedicenti esperti su argomenti complessi e multidimensionali come il mercato del lavoro e la protezione sociale siano convinti che loro qui in Italia abbiano capito tutto e la sappiano lunghissima mentre gli organismi UE, ONU, OCSE e gli altri Paesi siano governati da manipoli di fessi ignoranti.

Già, perché se non fosse così almeno qualcuno di loro il dubbio se lo porrebbe ed eserciterebbe la curiosità di andare a vedere cosa dicono, fanno, suggeriscono gli altri, che magari hanno studiato più di coloro che ammanniscono ricette “solidissime” basate su assiomi che finiscono per essere largamente condivisi per inerzia, ma che a seguito di un serio confronto risulterebbero di scarso fondamento.

Uno di questi assiomi riguarda gli esclusi dal mercato del lavoro, che finiscono in povertà, magari con problemi “multidimensionali”: “bisogna tenere separate le politiche di contrasto alla povertà dalle politiche attive del lavoro”, con il corollario che molti poveri (un terzo?) “non può” lavorare. In un paese in cui molti credono che da malattie irreversibili e terminali si possa improvvisamente guarire, che una persona in coma irreversibile possa improvvisamente svegliarsi, si è in grado di sentenziare la fine lavorativa di un cittadino, “a prescindere”. Come assioma è da preferire l’opposto, dell’allora ministro francese del lavoro, Muriel Pénicaud: “Nessuno è inoccupabile!

Inoltre, molti dei sostenitori della separazione delle politiche di inclusione lavorativa da quelle di garanzia di un minimo vitale sono gli stessi che hanno approvato negli scorsi anni le norme prima sul Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) prima e sul Reddito di Inclusione (ReI) poi, misure articolate che prevedevano entrambe l’integrazione e non la separazione delle due linee di intervento.

Sembra il caso di “spizzicare” tra i documenti della UE per farsi un’idea di quali siano gli orientamenti comunitari in merito.

Iniziamo la nostra breve e parziale visita guidata agli orientamenti UE dalla Proposta di raccomandazione sul reddito minimo della Commissione Europea, sulla quale la Commissione ha raccolto contributi dal 2 marzo al 1° aprile 2022 e la cui adozione è prevista per il terzo trimestre 2022. Il sommario dell’iniziativa sulla pagina istituzionale (https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/13294-Raccomandazione-sul-reddito-minimo_it ) è questo:

L'iniziativa punta a sostenere le politiche promosse dagli Stati membri per combattere la povertà e prevenire l'esclusione sociale.

Si richiama al principio 14 del pilastro europeo dei diritti sociali, secondo cui chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa e l'accesso a beni e servizi essenziali.

Per chi può lavorare, il reddito minimo andrebbe combinato con incentivi al (re)inserimento nel mercato del lavoro.

È evidente che l’esplorazione potrebbe anche finire qui, con buona pace degli italici surfisti che cavalcano le onde di questioni epocali senza approfondire. Ma faremo ancora qualche passo, a partire dal Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, di cui è stato citato il principio 14, adottato dalla UE a fine 2017 e praticamente ignorato in Italia.

“Il pilastro europeo dei diritti sociali esprime principi e diritti fondamentali per assicurare l’equità e il buon funzionamento dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale nell’Europa del 21º secolo. Ribadisce alcuni dei diritti già presenti nell’acquis [L'acquis dell'UE corrisponde alla piattaforma comune di diritti ed obblighi che vincolano l’insieme dei paesi dell'UE quali membri dell'UE] dell’Unione. Aggiunge nuovi principi per affrontare le sfide derivanti dai cambiamenti sociali, tecnologici ed economici. Affinché i principi e i diritti siano giuridicamente vincolanti, è prima necessario adottare misure specifiche o atti normativi al livello appropriato.”

Dal momento della sua adozione, quindi, il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali è il riferimento per le politiche UE e degli stati membri in materia di mercato del lavoro e di protezione sociale. All’inizio del 2021 la Commissione ha adottato un Piano d’Azione per l’attuazione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, che trasforma i 20 principi in azioni concrete a vantaggio dei cittadini e definisce una serie di obiettivi che l'UE è chiamata a raggiungere entro il 2030.

Quindi è evidente che non si tratta di iniziative meramente formali, e anche il principio 14 avrà una prospettiva di completa attuazione, come testimonia la proposta di raccomandazione di cui sopra e che sta per essere adottata.

Si potrebbe pensare che l’idea di combinare inserimento lavorativo (o, più in generale, politiche attive del lavoro) e protezione sociale per nuclei familiari in condizioni di povertà sia un’idea recente e faranno in tempo ad abbandonarla.

Il 21 ottobre 2010 il Consiglio UE adottò una decisione “sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione”, nell’ambito della quale si legge:

I sistemi di protezione sociale, ivi compresi quelli pensionistici e l’accesso alla sanità pubblica, dovrebbero essere modernizzati e resi capaci di fornire un sostegno del reddito e servizi adeguati, creando in tal modo coesione sociale, e rimanere nel contempo finanziariamente sostenibili ed incoraggiare la partecipazione alla società e al mercato del lavoro”.

Il Parlamento Europeo il giorno prima, 20 ottobre 2010, aveva approvato una risoluzione “sul ruolo del reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa”. Alcuni dei punti che costituiscono la risoluzione:

sottolinea la necessità di misure concrete che sradichino la povertà e l'esclusione sociale, esplorando strategie di ritorno all'occupazione, favorendo un'equa ridistribuzione del reddito e della ricchezza, garantendo regimi di reddito minimo e, dunque, dando un senso e un contenuto autentici all'Anno europeo della lotta alla povertà e assicurando altresì un potente retaggio politico alla realizzazione degli obiettivi del millennio per lo sviluppo, compresa la garanzia di sistemi di reddito minimo atti a prevenire la povertà e a favorire l'inclusione sociale sulla base delle varie prassi nazionali, delle convenzioni collettive o della legislazione nazionale in tutta l'Unione europea, nonché lavorando attivamente alla promozione di regimi adeguati di reddito e di protezione sociale; invita gli Stati membri a rivedere le loro politiche intese a garantire un reddito adeguato, consapevole che la lotta alla povertà presuppone la creazione di posti di lavoro dignitosi e durevoli per le categorie sociali svantaggiate sul mercato del lavoro; ritiene che tutti i lavoratori abbiano diritto ad un'esistenza dignitosa; considera che una politica sociale nazionale presupponga altresì una politica attiva in materia di mercato del lavoro;

sottolinea l'esigenza di valorizzare i programmi di apprendimento permanente quali strumenti di base con cui combattere la povertà e l'esclusione sociale attraverso l'incremento dell'occupabilità e l'accesso alle conoscenze e al mercato del lavoro; ritiene necessario incentivare una maggiore partecipazione all'apprendimento permanente da parte dei lavoratori, dei disoccupati e di tutti i gruppi sociali vulnerabili e intraprendere azioni efficaci per contrastare i fattori che portano all'abbandono scolastico, nonché migliorare il livello delle qualifiche professionali e l'acquisizione di nuove competenze, al fine di favorire una più rapida reintegrazione nel mercato del lavoro, aumentare la produttività e aiutare le persone a trovare un lavoro migliore;

ritiene che i regimi di reddito minimo debbano essere integrati in un approccio strategico orientato all'integrazione sociale, che preveda sia misure generali sia politiche mirate relative ad alloggi, assistenza sanitaria, istruzione e formazione e servizi sociali, al fine di aiutare le persone a uscire dalla povertà e ad adoperarsi per l'inclusione sociale e l'accesso al mercato del lavoro; ritiene che il reale obiettivo dei regimi di reddito minimo non sia semplicemente assistere, ma soprattutto sostenere i beneficiari a passare da situazioni di esclusione sociale a una vita attiva;

ribadisce che, benché importanti, i regimi di reddito minimo debbano essere accompagnati da una strategia coordinata a livello nazionale e di Unione europea, incentrata su azioni di ampia portata, oltre che da misure specifiche, tra cui politiche attive per il mercato del lavoro rivolte ai gruppi più distanti da tale mercato, istruzione e formazione per le persone meno qualificate, retribuzioni minime, politiche di edilizia popolare e fornitura di servizi pubblici accessibili, di qualità e a prezzi accessibili;

La risoluzione fa riferimento alla Raccomandazione del Consiglio UE del 24 giugno 1992 (92 / 441 / CEE) “in cui si definiscono i criteri comuni in materia di risorse e prestazioni sufficienti nei sistemi di protezione sociale

Alcuni passaggi di questa trentennale Raccomandazione, cosa raccomanda il Consiglio UE agli Stati Membri (sottolineiamo che l’ambito di azione della Raccomandazione è la protezione sociale):

“I sistemi di protezione sociale devono fare in modo di adattarsi all'evoluzione dei comportamenti e delle strutture familiari, qualora questa comporti l'emergere di nuove necessità di protezione sociale connesse in particolare con le trasformazioni del mercato del lavoro e con l'evoluzione demografica.

“Conformemente alle disposizioni della raccomandazione del 24 giugno 1992, fatta salva la loro disponibilità attiva al lavoro, garantire risorse minime, alle persone senza lavoro legalmente residenti nel territorio dello Stato membro.”

Mettere in funzione, a favore dei disoccupati e in particolare dei giovani che si affacciano sul mercato del lavoro e dei disoccupati di lunga durata, meccanismi di lotta contro l'esclusione miranti a migliorarne l'inserimento nel mercato del lavoro, fatta salva la loro disponibilità al lavoro o alla formazione professionale al fine di ottenere un lavoro.”

E ancora, la Raccomandazione del 24 giugno 1992 fa riferimento alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata dal Consiglio europeo di Strasburgo il 9 dicembre 1989, che “sancisce i principi fondamentali su cui poggia il nostro modello europeo di diritto del lavoro”.

Il principio 6:

6. Ogni persona deve poter beneficiare gratuitamente dei servizi pubblici di collocamento.

Il principio 10:

Secondo le modalità specifiche di ciascun paese:

  1. Ogni lavoratore della Comunità europea ha diritto ad una protezione sociale adeguata e deve beneficiare, a prescindere dal suo regime e dalla dimensione dell'impresa in cui lavora, di prestazioni di sicurezza sociale ad un livello sufficiente.

Le persone escluse dal mercato del lavoro, o perché non hanno potuto accedervi o perché non hanno potuto reinserirvisi, e che sono prive di mezzi di sostentamento devono poter beneficiare di prestazioni e di risorse sufficienti adeguate alla loro situazione personale.

Allarghiamo lo sguardo all’ambito mondiale. Nel 2009, l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, International Labour Organization, agenzia dell’ONU ultracentenaria e massima autorità mondiale in materia di lavoro) e l'Unione Europea hanno lanciato un progetto intitolato “Migliorare la protezione sociale e promuovere l'occupazione” (“Improving social protection and promoting employment”) come reazione alla crisi economica internazionale.

Sia l'ILO che l'Unione Europea hanno ideato il progetto in linea con i loro impegni, come enunciato nel Consenso europeo sullo sviluppo e l'impegno della bbUE per un lavoro dignitoso per tutti, nonché nella Dichiarazione dell'ILO sulla giustizia sociale per una globalizzazione equa (2008). L'ipotesi era che un quadro coerente per le politiche occupazionali e di protezione sociale avrebbe avuto un impatto maggiore rispetto a politiche isolate. La spinta principale del disegno progettuale è stata il riconoscimento che i problemi occupazionali e di protezione sociale non possono essere risolti attraverso interventi frammentati e isolati; che è necessaria un'azione sostenuta e concertata in un'ampia gamma di settori politici e che coinvolga un gran numero di organizzazioni interessate.

Attuato il progetto in alcuni paesi pilota, ne hanno fornito un rapporto in “Coordinating social protection and employment policies”, “Coordinare le politiche di protezione sociale e per l’occupazione”, dalla cui prefazione è tratta l’ultima citazione.

Dovrebbe essere chiarissimo (si potrebbe anche aggiungere una rassegna di quello che succede in altri paesi, ma ci asteniamo) che LE POLITCHE DI PROTEZIONE SOCIALE, COMPRESO IL REDDITO MINIMO, DEVONO (NON “POSSONO”) ESSERE COMBINATE. Ma certo, noi possiamo andare contro le politiche UE, ONU, le indicazioni di agenzie sovranazionali e centri studi, perché no? E magari uscire da tutti questi organismi e pure dall’euro, una volta che siamo orientati verso le uscite. Diciamo che non sarebbe una strategia particolarmente intelligente.

Ma d’altra parte, da un paese che da quando esiste l’European Skills Index del Cedefop (agenzia UE per la formazione e l’orientamento) colloca al 31° posto su 31 stati ci si può aspettare qualunque comportamento autolesionistico, consapevole o meno che sia.

L’European Skills Index è un indice composito di misurazione delle prestazioni dei sistemi delle

Composizione dell'European Skills Index
Composizione dell'European Skills Index

competenze articolato sulle tre fasi: sviluppo, attivazione, incrocio (delle competenze). Quindi misura anche l’efficacia dei servizi per il lavoro.

Sorge quindi il sospetto che le stravaganze diffuse assiomaticamente e senza fondamento su reddito minimo (reddito di cittadinanza) e politiche attive del lavoro / servizi per il lavoro, derivino da una sostanziale ignoranza di quello che sono, di quello che non sono e che dovrebbero essere gli italici servizi per il lavoro, pubblici o privati che siano. Qui dà un eccellente contributo alla comprensione della questione Riccardo Maggiolo: “Il fallimento dei navigator è la sconfitta di tutti noi”, https://www.huffingtonpost.it/blog/2022/07/30/news/il_fallimento_dei_navigator_e_la_sconfitta_di_tutti_noi-9965131/ .

Sorge altresì il sospetto che la “cura” dei poveri sia talmente oggetto dell’azione di alcune filiere, che ci si tenga così tanto ai propri poveri... che si può mica rischiare che con un’azione prolungata, multidimensionale e faticosa (vedi Riccardo Maggiolo) dalla povertà possano uscire. No, meglio semplificare e sentenziarne la morte civile ed economica, e garantirsene così una certa quota. Ci sono arrivati alla povertà? Bene, e ora poveri lo restino.

Cosa resta ai poveri
Filiere

https://ventomatteo.files.wordpress.com/2015/02/trickle-down.gif

LA POLITICA DI PASQUALE

Dalla fine di febbraio l’Italia, e progressivamente il mondo, vive tempi drammatici. Voci autorevoli, competenti organizzazioni internazionali prevedono facilmente una grandissima crisi economica con gravi risvolti sociali. Al momento sembra che resterà disoccupato a livello mondiale almeno l’equivalente di circa 200 milioni di lavoratori a tempo pieno.

Quindi sembra che la categoria degli “ultimi” avrà un notevole numero di nuovi ingressi.

E cosa succederà a coloro che erano magari temporaneamente “ultimi”, o quantomeno privi di reddito, al momento della catastrofe? Scivoleranno ancora più giù, in una nuova categoria, diciamo degli “ultraultimi”?

Si soccorre, giustamente, chi ha avuto un reddito fino a due mesi fa. Gli va garantita la continuità almeno del livello di sussistenza. Sì, è giusto.

Poi ci sono quegli altri, quelli che non si sa come campavano ma campavano: lavori in nero, lavoretti, altre attività non dichiarabili. In emergenza vanno sostenuti senza chiedersi come campavano. Certo. Magari hanno pure una seconda casa, ereditata, e non hanno potuto accedere al reddito di cittadinanza. Ok, abbuoniamogli la seconda casetta ereditata dal nonno, è equo.

Poi ci sono quelli che la casa ce l’avevano, una, che si sono pagati col mutuo. Qualcuno non ha nemmeno finito di pagarla. E se la sono dovuta vendere, per campare, o l’hanno persa. O quelli che sono stati licenziati e hanno campato del TFR che hanno, magari, solo parzialmente percepito. Magari ne hanno ancora un po’ in banca, ma finirà e non gli resterà più proprio niente. Non è detto che chi ha lavorato fino a 2 mesi fa sia in queste condizioni tragiche.

Tra quelli che si barcamenano da anni tra incarichi brevi, lavoretti e stratagemmi vari ci sono migliaia di operatori della formazione professionale siciliana e derivati sportelli multifunzionali (servizi di orientamento privati finanziati dalla Regione Siciliana, che dal 2000 al 2013 hanno costituito i servizi regionali per le politiche attive del lavoro). Tutti avevano un contratto di lavoro a tempo indeterminato molto spesso ultratrentennale e tutele legali. Tutto svanito in breve tempo.

Certo, ora bisogna affrontare la coesistenza con l’emergenza sanitaria, che non finirà presto, ammortizzare la crisi simmetrica della domanda e dell’offerta, la crisi di liquidità, il rischio di chiusura definitiva di molte aziende, lo spettro di un livello di disoccupazione devastante.

Quindi le questioni rimaste irrisolte (possiamo anche dire mai affrontate seriamente) rischiano di scivolare nel retropalco, lontano dalle luci del primo piano. Ma questo non vuol dire che i problemi non persistano, aggravati, incancreniti dagli anni passati, sospesi da provvedimenti eternamente imminenti ma mai arrivati. Sono arrivati i complimenti, il sincero apprezzamento per proposte e iniziative di gruppi di questi lavoratori, che però necessitavano di sostegno reale, anche solo normativo, per realizzarsi. Sostegno concreto, finora, mai arrivato. In 7 anni.

7 anni in cui i binari su cui si sono messi o sono stati indotti a mettersi i lavoratori sono stati resi binari morti, o lo erano già in partenza. Come l’illusorio reimpiego in un sistema che non avrebbe mai potuto riassorbire che quote irrisorie del personale, peggiorando ulteriormente le condizioni e le prospettive col confinamento dei lavoratori in un limbo nebuloso alimentato da una intenzionale ammuina. Come le iniziative di autoimpiego nell’ambito dei servizi per il lavoro, lasciate agonizzare senza muovere un dito ma circondate di belle parole.

L’atteggiamento pluriennale della politica dei vari schieramenti ricorda la scenetta di Totò e Mario Castellani a Studio Uno nel 1966. I lavoratori aspettano ancora di trovare qualcuno che si assuma la responsabilità di una soluzione. Introvabile. Già, perché essendo le colpe di quel Pasquale lì, che è certamente sempre un altro, la risposta nei fatti è sempre stata: “che mi frega a me, che so’ Pasquale io?

I lavoratori però di “Pasquale” ne hanno ben presenti un elenco.

Nessuno si senta offeso.

Nessuno si senta escluso.

LA POLITICA DI PASQUALE

https://www.raiplay.it/video/2017/03/Il-ritorno-a-Studio-Uno-26ddcdbe-a07f-457b-a9f2-5b381fd04e3a.html

CHI HA PAURA DEL REDDITO DI CITTADINANZA?

È arrivata una nuova sparata sul cosiddetto “reddito di cittadinanza”: diamo i fondi alle imprese che li utilizzeranno per formare il personale da assumere, sostanzialmente tenendoli in prova per il tempo di fruizione del sussidio. Cioè? Le aziende avrebbero per 2 anni personale retribuito dallo Stato? E quindi o sottopagato rispetto al ruolo o impiegato ad orario parziale. E di che natura sarebbe il rapporto?

Ci sono già istituti per l’inserimento in azienda di un lavoratore: uno spesso abusato, il tirocinio, uno sottoutilizzato, l’apprendistato. E quindi il senso di questa proposta?

Qualcuno potrebbe pensare che così ci sarebbe la certezza che i lavoratori disoccupati riceverebbero la formazione che serve in azienda e sarebbero assunti. Quindi l’azienda dovrebbe impegnarsi all’assunzione all’inizio del percorso? E a quali bisogni professionali risponderebbe l’inserimento del lavoratore? Quelli rilevati (o percepiti?) al momento dell’inizio del percorso o quelli previsti alla sua conclusione? Ci vorrebbe un progetto formativo? Chi garantirebbe la valenza formativa del percorso e la congruità della sua durata? E le aziende si scoprirebbero improvvisamente vocate alle assunzioni e alla cura della formazione del personale assunto, vocazione finora che non pare così largamente diffusa. E insomma: le domande potrebbero ancora moltiplicarsi.

Ci sono altre argomentazioni sulle quali in parte ci troviamo costretti a ripeterci: la famigerata curva di Beveridge per l’Italia. Il tasso di posti vacanti a livello nazionale è intorno ad un decimo del tasso di disoccupazione. Quindi i bisogni professionali attuali delle aziende non coprirebbero che un decimo dei disoccupati. In che modo i percorsi aziendali di questa reinterpretazione del reddito di cittadinanza si inserirebbero in questo contesto? È presumibile che i beneficiari della misura non siano esattamente i lavoratori più appetibili da parte delle imprese, i più occupabili.

E in un contesto in cui il rapporto tra posti vacanti e tasso di disoccupazione è più sfavorevole la soluzione ipotizzata sarebbe ancora meno praticabile. Ci sono aree, regioni, in Italia in cui si registra un tasso di disoccupazione più che doppio rispetto alla media nazionale. Per non parlare del tasso di occupazione e di inattività. La misura potrebbe portare una quota di inattivi a porsi almeno formalmente in cerca di un’occupazione, transitando così tra i disoccupati e peggiorando il rapporto tra posti vacanti e persone in cerca di lavoro.

Appare quindi necessario porsi il problema del significato reale della misura e degli obiettivi realistici che può porsi. Anche qui ci tocca ripeterci, citando il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, che ha appena compiuto un anno e che nelle intenzioni delle istituzioni della UE dovrà permeare le politiche europee e degli stati membri nei prossimi anni. Si tratta di 20 principi cardinali.

Il principio 14 recita:

Minimum income

Everyone lacking sufficient resources has the right to adequate minimum income benefits ensuring a life in dignity at all stages of life, and effective access to enabling goods and services. For those who can work, minimum income benefits should be combined with incentives to (re)integrate into the labour market.

In italiano:

Reddito minimo

Chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi. Per chi può lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi alla (re)integrazione nel mercato del lavoro.

E quindi è il caso di dire che la misura “ce la chiede l’Europa”.

Potremmo dire che la misura è una misura indispensabile di redistribuzione dei redditi a difesa del patto sociale, messo a rischio dall’evoluzione del mercato del lavoro, particolarmente critica in Italia. Questo non vuol dire che la misura debba consistere esclusivamente in una forma passiva di sostegno al reddito, né chi l’ha proposta già nel 2013 l’ha mai pensata così. Date le condizioni effettive del mercato del lavoro, le linee strategiche per conferire una natura attiva all’impianto del reddito di cittadinanza non possono limitarsi ad un mero rilevamento dei bisogni delle aziende hic et nunc, qui ed ora, perché altrimenti al massimo si potrebbe puntare a coprire quella quota di posti vacanti scarsamente rilevante nell’ottica dell’aumento del tasso di occupazione e in Italia già al di sotto di un livello fisiologico normale. Quindi bisogna alzare lo sguardo e puntare ad un orizzonte più ampio.

Il grande obiettivo di fondo è creare lavoro. E questo non si fa con i centri per l’impiego. Si fa con le politiche industriali, con le politiche di sviluppo sostenibile (coerenti con Agenda 2030 dell’Onu, che ha già compiuto 3 anni, che impegna tutti i paesi Onu al raggiungimento di 17 macro obiettivi interconnessi, tra i quali il contrasto alle diseguaglianze e il lavoro dignitoso per tutti), la ricerca, l’innovazione, e via declinando. Sulle persone in cerca di lavoro, sui lavoratori bisogna intervenire in termini di occupabilità, di sviluppo delle competenze, anticipando i bisogni professionali, che non corrispondono esattamente a quello che percepiscono le aziende e che possono comunicare in questo momento ad un “analista” attraverso qualcosa di molto simile ad una telefonata. Vanno sviluppate e manutenute quelle competenze che consentono agli “umani” di non essere sostituibili dalle macchine, competenze in continua evoluzione, guardando al paradigma di quello che qualcuno ha già cominciato a chiamare Industry 5.0, nel quale le macchine non eliminano gli umani dai processi produttivi ma ne potenziano le capacità.

C’è poi l’aspetto dell’autoimpiego, della creazione d’impresa, del lavoro autonomo in tutte le sue declinazioni, anche ibride. È un meccanismo non secondario per la fuoriuscita dallo stato di disoccupazione, come è noto, soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo. Difficile pensare di poterlo coniugare affidando esclusivamente le risorse alle aziende nell’ottica di un lavoro subordinato. È comunque certo che le imprese esistenti hanno e avrebbero comunque un ruolo centrale. Le nuove imprese, il lavoro autonomo non possono nascere e crescere come isolati cactus in un deserto: è necessario favorire e fertilizzare un ecosistema che ne consenta lo sviluppo in una logica di rete.

A chi fa paura tutta questa ineluttabile complessità, al punto di semplificarla a soluzioni da circolo della briscola?

 

Paolo La Carrubba
Presidente di Itinerari per il Lavoro

 

  chi_ha_paura_del_reddito_di_cittadinanza.pdf

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PAPOCCHI, AMMUINE E CASSATE: LA CRISI (SOCIALE) DELLA FORMAZIONE E DEI SERVIZI PER IL LAVORO IN SICILIA

 

Il 9 agosto 2018 il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, invia una lettera al ministro Luigi Di Maio. Oggetto: “Formazione e sportellisti”. [ http://www.regioni.it/dalleregioni/2018/08/09/sicilia-regione-formazione-e-sportellisti-musumeci-scrive-a-di-maio-574042/ ]

Chi sono gli “sportellisti”? Perché il presidente della Regione Siciliana scrive al ministro? Che c’entra la Formazione? Gli “sportellisti” sono operatori che hanno lavorato in strutture private che offrivano servizi di orientamento, successivamente accreditate ai sensi del DM 166/2001 e finanziate dalla Regione Siciliana denominate “Sportelli Multifunzionali”. L’idea nacque sul finire degli anni ’90: ridurre il personale e la spesa per la formazione professionale trasferendo gli operatori in strutture orientative. Gli sportelli multifunzionali entrarono in funzione tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001. Dovevano diventare le sedi periferiche dell’Agenzia Regionale per l’Impiego e occuparsi di politiche attive del lavoro integrando l’azione dei centri per l’impiego, uffici periferici del Dipartimento Regionale del Lavoro.

Il presidente Musumeci scrive al ministro Di Maio: «Al di là di ogni possibile valutazione sulle origini e sulle cause che, in un lungo arco temporale, hanno generato, nel settore, il sovradimensionamento degli addetti - scrive ancora il presidente Musumeci - si consolida oggi una vera e propria emergenza sociale i cui impatti umani ed economici non sono ulteriormente tollerabili.» Vero: c’è un grande problema e va risolto, indipendentemente dalle cause che l’hanno generato. Però è il caso di capire cosa è successo e quando.

Nel 2003 il capitolo del bilancio della Regione Siciliana era lo stesso per formazione professionale e sportelli multifunzionali e la spesa ammontava a 116 milioni di euro. Nel 2010 la spesa complessiva ammontava a circa 347 milioni di euro: triplicata. La sola formazione professionale costava 278 milioni di euro. Ma non si sarebbe dovuta ridurre di volume, a seguito della fuoriuscita del personale verso quelle strutture orientative denominate sportelli multifunzionali? E invece… carta vince, carta perde… dopo lo scorporo della spesa per gli sportelli multifunzionali, nel 2005 la formazione professionale costava 119 milioni di euro e gli sportelli multifunzionali circa 48,5 milioni. C’era già stato un aumento della spesa nel 2004 di circa il 33%. Un altro salto da Guinness si è registrato nel 2006, l’anno successivo allo scorporo: la formazione professionale passò da un finanziamento di 119 milioni a 208,5 milioni. Nel frattempo lo stanziamento per gli sportelli multifunzionali passò dai 48,5 milioni del 2005 agli 84,5 milioni del 2010. Guarda caso, a fine 2010 gli sportelli multifunzionali escono dal bilancio regionale per essere finanziati con fondi europei, seguiti dalla formazione professionale: fondi europei che non finanziano stipendi, notoriamente, ma azioni, progetti. Qui si realizza il papocchio: cioè in 7 anni si è consapevolmente ingigantito un sistema già considerato ipertrofico, lanciandolo verso il crollo, puntualmente avvenuto, con le conseguenze occupazionali che oggi si cerca di sanare. Ma, come dice il presidente Musumeci, poco importa: il problema va risolto. Se però qualcuno avesse la curiosità di andare a vedere chi governava la Regione e il sistema…

Un altro elemento critico dell’analisi del presidente Musumeci riguarda le prospettive per il personale, rebus sic stantibus, considerato, come sopra riportato, comunque “sovradimensionato”, cioè eccessivo per il comparto: «questo governo regionale, nell'arco di sette mesi, ha ripristinato le attività formative, cosicché è oggi possibile prevedere il parziale riassorbimento occupazionale dei lavoratori da tempo fuoriusciti dal bacino» […] «A questo punto, con l'intento di definire condivise linee di azione, ritengo utile e necessario richiedere un confronto con la S.V. e con il ministero che Ella dirige al fine di individuare sostenibili obiettivi e programmare adeguati interventi, volti ad arginare e risolvere la descritta situazione di crisi»

Ma qual è a situazione reale del personale del comparto, al netto delle mistificazioni diffuse da più parti? Nelle tabelle che seguono riportiamo un’analisi dell’albo regionale degli operatori della formazione pubblicato lo scorso 23 luglio.

 

ALBO OPERATORI FORMAZIONE SICILIA - SINTESI

D.D.G. N._3270_ del_23 luglio 2018

     


Le colonne si riferiscono ai tre ambiti fondamentali (impropriamente spesso definiti “filiere”): gli sportelli multifunzionali (servizi per il lavoro o “servizi formativi”), i percorsi di istruzione e formazione professionale per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione (IeFP), i corsi di formazione (“interventi formativi”). “quest” sta per “questionario” e si riferisce ad un “questionario conoscitivo” la cui compilazione e successivo invio è stato richiesto dal dipartimento regionale dell’istruzione e della formazione professionale agli iscritti all’albo. Secondo le fonti istituzionali, i questionari che risultano pervenuti sono 5.135, ma non tutti sono stati correttamente acquisiti. Si sta provvedendo a recuperare i dati non ancora inseriti.

La seconda tabella riguarda gli iscritti all’albo che hanno dichiarato di essere stati inquadrati nei ruoli più propriamente tecnici relativi all’erogazione dei vari servizi. Nell’ipotesi di definizione di un piano condiviso di ricollocazione del personale è intenzione delle varie istituzioni coinvolte, sembra, che ognuno venga ricollocato in ruoli corrispondenti alle proprie competenze, eventualmente dopo un percorso di aggiornamento o di riqualificazione.

     

SERVIZI FORMATIVI S.M.I.

I e F.P.

INTERVENTI FORMATIVI

TOTALE

   
   

DDG.693/ 2018 quest

840

296

2476

3612

   
   

Senza quest

1048

227

3434

4709

   
   

TOTALE

1888

523

5910

8321

   
                 
                 

SOLO AREA EROGAZIONE

       
                 
     

SERVIZI FORMATIVI S.M.I.

I e F.P.

INTERVENTI FORMATIVI

TOTALE

   
   

DDG.693/ 2018 quest

488

130

1249

1867

   
   

Senza quest

635

170

1746

2551

   
   

TOTALE

1123

300

2995

4418

   

 

Tra le cassate che riguardano l’argomento c’è quella arricchita e iperglassata riguardante il numero degli iscritti. Si legge da qualche parte che sarebbero 9.500. E invece no: sono 8.321. L’altra cassata confezionata ad arte sul tema è quella sul blocco delle assunzioni al 31 dicembre 2008. Il blocco non poteva esserci perché i soggetti che assumevano erano privati, e quindi liberi di assumere. Le assunzioni avrebbero potuto essere limitate con disposizioni indirette. Si è provato a bloccare l’iscrizione all’albo, con la deliberazione della giunta regionale n. 350 del 2010, impedendo l’iscrizione agli assunti successivamente al fatidico 31 dicembre 2008. Ma il TAR sentenzia regolarmente, su ricorso degli interessati, che non si può bloccare con una delibera della giunta regionale un albo istituito con una legge regionale (la LR 24 del 1976): è necessaria una norma di pari rango. E quindi i ricorrenti assunti dopo la suddetta data vengono regolarmente inseriti nell’albo.

Come ha agito la Regione Siciliana dal 2010 per ammortizzare l’implosione del sistema? Come ben si addice a questa parte importante del borbonico Regno delle Due Sicilia, facendo ammuina. Ovvero, con l’adozione del più siculo dei paradigmi, quello dell’“annacamento”: il massimo del movimento col minimo dello spostamento. E qui la più tradizionale delle Opere dei Pupi impallidirebbe per caratterizzazione delle parti, prevedibilità della pantomima, ovvietà del finale. Cioè? Cioè il nulla. Nessuna legge di riforma del comparto,  nessun piano concreto per il personale; chiacchiere sterminate; rassicurazioni paternalistiche di politici di maggioranza, assessori, dirigenti generali, e sostegno alle proteste da parte di politici di opposizione; promesse di leggi, percorsi e risorse destinate. Piattaforme rivendicative di sindacati “istituzionali” e gruppi informali autocostituiti, singolari modi di alzare le pretese man mano che le “trattative” (termine obiettivamente esagerato) procedevano senza risultati. E poi guerre tra poveri e intimidazioni reciproche, corti dei miracoli e varia umanità alla ribalta. E poi la chiusura progressiva di molti enti di formazione, compresi i più grandi e tradizionali, presenti nel resto d’Italia, attività formativa quasi inesistente da anni, assenza di reali servizi per le politiche attive dal 2013. In una parola: il risultato di questi ultimi 8 anni è stata la desertificazione. A tutti gli attori in campo vanno i nostri più sinceri e sentiti complimenti, ma in particolare le congratulazioni vanno ai seguaci di Quinto Fabio Massimo detto Cunctator (il temporeggiatore), che probabilmente hanno conseguito i loro fini.

La madre di tutte le cassate è l’intenzione di alcune parti di far corrispondere le sorti del personale con quelle del comparto: il comparto deve tornare retrotopicamente allo stato degli anni del papocchio perché ciascuno possa “riprendere il proprio lavoro”. Ma al momento il comparto è finanziato con fondi europei, che hanno regole diverse da quelle autarchiche che si era potuta dare la Regione Siciliana, e i fondi disponibili sono notevolmente inferiori a quelli del primo decennio di questo secolo.

L’attuale assessore della formazione e dell’istruzione Prof. Roberto Lagalla, insieme ai suoi qualificati collaboratori, ha analizzato le risorse disponibili, il quadro normativo, le criticità che hanno impedito l’attività formativa negli scorsi anni e ha valutato quale sistema potesse essere costruito a partire da questi presupposti, facendo tesoro delle lezioni apprese dalle esperienze di altri territori (un must della programmazione europea, tra l’altro). È quindi stato delineato e realizzato un sistema possibile: un repertorio delle qualifiche aggiornato attraverso confronti con le parti sociali, un bando per la costituzione di un catalogo dell’offerta formativa, la concessione dei finanziamenti attraverso una procedura a sportello sulla base degli iscritti ai corsi in catalogo. Certamente il sistema sarà oggetto di una messa a punto, ma intanto si è messo in moto, con una sua consistenza. Contemporaneamente sono state implementate procedure per la selezione del personale da parte dei soggetti attuatori che potessero in qualche modo tutelare il personale dell’albo. Ma è la stessa fonte di finanziamento dell’attività che non consente di immaginare rapporti stabili per il personale attualmente iscritto all’albo e disoccupato. L’esigenza di tutelare il personale non può tra l’altro prescindere dalla superiore esigenza di offrire servizi efficaci, o almeno di provare a farlo. Niente che non fosse implementato in quest’ottica avrebbe la possibilità di sopravvivere più di qualche mese, come la storia recente insegna.

Quindi la tutela reale del personale sta nell’individuare un percorso per ciascuno, date le risorse disponibili presumibilmente al di fuori del comparto, con il concorso dell’intera giunta regionale e con la definizione di percorsi e risorse aggiuntive insieme al governo nazionale. Le dimensioni delle conseguenze occupazionali del crollo dopo il papocchio sarebbero state evidenziate come drammatiche da almeno 5 anni per qualunque altro comparto in qualunque altro posto del mondo occidentale. In Sicilia no: qui ammuina, cassate e annacamento. Per anni. Ovviamente il problema non si è ridotto di complessità, è solo sceso il numero dei soggetti “attivi” iscritti all’albo, per vari motivi, come è facile immaginare.

L’assessore Lagalla ha comunque lavorato su un piano per il personale che prevede pensionamenti anticipati, provando a dare concretezza a ipotesi formulate in anni precedenti, fuoriuscita volontaria, e ricollocazione all’esterno del comparto, con un accordo già firmato riguardante il programma Agenda Digitale.

Oltre ai programmi messi in atto dall’assessore Lagalla, nell’attuale legislatura appare significativo solo un altro atto, la deliberazione della giunta regionale n. 166 del 10 aprile 2018 (http://www.regione.sicilia.it/deliberegiunta/file/giunta/allegati/Delibera_166_18.pdf), che consiste nella definizione di un quadro strategico per la “Creazione rete servizi per il lavoro”, una rete che integri servizi per il lavoro, politiche attive del lavoro, attività formativa e istruzione. Ma si tratta appunto di una delibera quadro che finora purtroppo non ha avuto seguito.

Quindi sul fronte del personale proveniente dagli sportelli multifunzionali non ci sono atti concreti. Ci sono articoli di leggi collegate al bilancio della Regione Siciliana del 2016 e del 2017 che introducono la possibilità di affidare azioni di potenziamento dei centri per l’impiego all’ente in house Ciapi di Priolo e ai soggetti accreditati per i servizi per il lavoro, in regime di sussidiarietà orizzontale, così come avviene in altre regioni ed è consentito dal quadro nazionale. L’ottica è quella di impiegare il personale competente in servizi utili ed efficaci per i cittadini. Nelle sue dichiarazioni programmatiche, tra l’altro, il presidente Musumeci introduce l’ipotesi della creazione di un’agenzia unica regionale per la formazione e il lavoro, agenzia che trova spazio anche nell’ultimo documento di economia e finanza (DEF regionale), elemento fondamentale per il triennio 2018-2020. Un’agenzia con responsabilità dirette nell’erogazione di servizi per le politiche attive del lavoro e con “un ruolo di regia e coordinamento anche degli enti accreditati alla formazione ed ai servizi del lavoro”. Ma non c’è nemmeno un cenno di implementazione di tutto questo.

Il potenziamento dei servizi per il lavoro, dei servizi per le politiche attive del lavoro, è però un’esigenza che non può attendere ancora a lungo di essere soddisfatta, e questo sia a livello nazionale che regionale (lo stesso ministro Di Maio ha dichiarato che “La Sicilia è la regione che è messa peggio per quanto riguarda i centri per l'impiego” – (http://palermo.repubblica.it/politica/2018/07/22/news/di_maio_a_caltanissetta_noi_ai_trattati_con_nord_africa_e_canada_cosi_difenderemo_l_agricoltura_siciliani_-202411831/). I servizi italiani non sono nemmeno confrontabili con quelli degli altri paesi UE. E sembra impossibile raggiungere i livelli necessari in tempi accettabili con un sistema puramente pubblico. Servizi per le politiche attive del lavoro efficaci erano già necessari per completare il disegno del cosiddetto Jobs Act e lo sono ancora di più per l’implementazione delle politiche del lavoro e per lo sviluppo dell’attuale governo nazionale.

Sul sito del ministero del lavoro e delle politiche sociali il 10 agosto viene pubblicato un comunicato (http://www.lavoro.gov.it/stampa-e-media/comunicati/pagine/di-maio-su-ex-sportellisti-siciliani-cerchiamo-soluzione-a-danno-clientelare-generato-da-giunte-di-destra-e-sinistra.aspx/), dal quale si deduce innanzitutto che è necessario lavorare ancora un po’ per assicurarsi che il quadro siciliano sia chiaro al nuovo ministro e al suo staff, ma anche che il riordino del sistema siciliano, del quale la Regione Siciliana ha piena responsabilità, dovrà avvenire nel quadro delle strategie nazionali e con il fine di rafforzare l’attuazione delle politiche per il lavoro. Dal tono del comunicato sembra che il ministro escluda il riproporsi di nostalgici papocchi o di persistere nelle politiche dell’ammuina e dell’annacamento, e tantomeno di assecondare la diffusione di nuove cassate.

È necessario procedere per passaggi successivi: attivare immediatamente azioni transitorie che pongano in qualche modo rimedio agli anni di sterile inerzia, mobilitando ogni risorsa possibile, e nel frattempo costruire un sistema coerente, consistente, sostenibile. Che non abbia fondamenta di cartone che lo facciano crollare come i papocchi del recente passato.

Attenzione però che quel tavolo di confronto richiesto dal presidente della Regione Siciliana, facendo seguito a ragionamenti già condivisi con il livello nazionale, non diventi il campo di gioco per uno degli sport nazionali più praticati: il gioco del cerino. Se così fosse, qualcuno al tavolo si brucerebbe senz’altro le dita, ma definitivamente bruciati ne uscirebbero gli operatori del comparto e i cittadini siciliani, umiliati ancora dall’inesistenza di servizi fondamentali e di cui hanno diritto, dall’impossibilità di esercitare pienamente i propri diritti di cittadinanza, come ha recentemente osservato il direttore dello Svimez Luca Bianchi a proposito del Mezzogiorno nel suo complesso.

Siamo certi che la qualità e la determinazione di chi condividerà la regia del tavolo di confronto saranno in grado di scongiurare il rischio.

 

PAPOCCHI, AMMUINE E CASSATE: LA CRISI (SOCIALE) DELLA FORMAZIONE E DEI SERVIZI PER IL LAVORO IN SICILIA

 

  papocchi_ammuine_e_cassate.pdf

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