CHI HA PAURA DEL REDDITO DI CITTADINANZA?

È arrivata una nuova sparata sul cosiddetto “reddito di cittadinanza”: diamo i fondi alle imprese che li utilizzeranno per formare il personale da assumere, sostanzialmente tenendoli in prova per il tempo di fruizione del sussidio. Cioè? Le aziende avrebbero per 2 anni personale retribuito dallo Stato? E quindi o sottopagato rispetto al ruolo o impiegato ad orario parziale. E di che natura sarebbe il rapporto?

Ci sono già istituti per l’inserimento in azienda di un lavoratore: uno spesso abusato, il tirocinio, uno sottoutilizzato, l’apprendistato. E quindi il senso di questa proposta?

Qualcuno potrebbe pensare che così ci sarebbe la certezza che i lavoratori disoccupati riceverebbero la formazione che serve in azienda e sarebbero assunti. Quindi l’azienda dovrebbe impegnarsi all’assunzione all’inizio del percorso? E a quali bisogni professionali risponderebbe l’inserimento del lavoratore? Quelli rilevati (o percepiti?) al momento dell’inizio del percorso o quelli previsti alla sua conclusione? Ci vorrebbe un progetto formativo? Chi garantirebbe la valenza formativa del percorso e la congruità della sua durata? E le aziende si scoprirebbero improvvisamente vocate alle assunzioni e alla cura della formazione del personale assunto, vocazione finora che non pare così largamente diffusa. E insomma: le domande potrebbero ancora moltiplicarsi.

Ci sono altre argomentazioni sulle quali in parte ci troviamo costretti a ripeterci: la famigerata curva di Beveridge per l’Italia. Il tasso di posti vacanti a livello nazionale è intorno ad un decimo del tasso di disoccupazione. Quindi i bisogni professionali attuali delle aziende non coprirebbero che un decimo dei disoccupati. In che modo i percorsi aziendali di questa reinterpretazione del reddito di cittadinanza si inserirebbero in questo contesto? È presumibile che i beneficiari della misura non siano esattamente i lavoratori più appetibili da parte delle imprese, i più occupabili.

E in un contesto in cui il rapporto tra posti vacanti e tasso di disoccupazione è più sfavorevole la soluzione ipotizzata sarebbe ancora meno praticabile. Ci sono aree, regioni, in Italia in cui si registra un tasso di disoccupazione più che doppio rispetto alla media nazionale. Per non parlare del tasso di occupazione e di inattività. La misura potrebbe portare una quota di inattivi a porsi almeno formalmente in cerca di un’occupazione, transitando così tra i disoccupati e peggiorando il rapporto tra posti vacanti e persone in cerca di lavoro.

Appare quindi necessario porsi il problema del significato reale della misura e degli obiettivi realistici che può porsi. Anche qui ci tocca ripeterci, citando il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, che ha appena compiuto un anno e che nelle intenzioni delle istituzioni della UE dovrà permeare le politiche europee e degli stati membri nei prossimi anni. Si tratta di 20 principi cardinali.

Il principio 14 recita:

Minimum income

Everyone lacking sufficient resources has the right to adequate minimum income benefits ensuring a life in dignity at all stages of life, and effective access to enabling goods and services. For those who can work, minimum income benefits should be combined with incentives to (re)integrate into the labour market.

In italiano:

Reddito minimo

Chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi. Per chi può lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi alla (re)integrazione nel mercato del lavoro.

E quindi è il caso di dire che la misura “ce la chiede l’Europa”.

Potremmo dire che la misura è una misura indispensabile di redistribuzione dei redditi a difesa del patto sociale, messo a rischio dall’evoluzione del mercato del lavoro, particolarmente critica in Italia. Questo non vuol dire che la misura debba consistere esclusivamente in una forma passiva di sostegno al reddito, né chi l’ha proposta già nel 2013 l’ha mai pensata così. Date le condizioni effettive del mercato del lavoro, le linee strategiche per conferire una natura attiva all’impianto del reddito di cittadinanza non possono limitarsi ad un mero rilevamento dei bisogni delle aziende hic et nunc, qui ed ora, perché altrimenti al massimo si potrebbe puntare a coprire quella quota di posti vacanti scarsamente rilevante nell’ottica dell’aumento del tasso di occupazione e in Italia già al di sotto di un livello fisiologico normale. Quindi bisogna alzare lo sguardo e puntare ad un orizzonte più ampio.

Il grande obiettivo di fondo è creare lavoro. E questo non si fa con i centri per l’impiego. Si fa con le politiche industriali, con le politiche di sviluppo sostenibile (coerenti con Agenda 2030 dell’Onu, che ha già compiuto 3 anni, che impegna tutti i paesi Onu al raggiungimento di 17 macro obiettivi interconnessi, tra i quali il contrasto alle diseguaglianze e il lavoro dignitoso per tutti), la ricerca, l’innovazione, e via declinando. Sulle persone in cerca di lavoro, sui lavoratori bisogna intervenire in termini di occupabilità, di sviluppo delle competenze, anticipando i bisogni professionali, che non corrispondono esattamente a quello che percepiscono le aziende e che possono comunicare in questo momento ad un “analista” attraverso qualcosa di molto simile ad una telefonata. Vanno sviluppate e manutenute quelle competenze che consentono agli “umani” di non essere sostituibili dalle macchine, competenze in continua evoluzione, guardando al paradigma di quello che qualcuno ha già cominciato a chiamare Industry 5.0, nel quale le macchine non eliminano gli umani dai processi produttivi ma ne potenziano le capacità.

C’è poi l’aspetto dell’autoimpiego, della creazione d’impresa, del lavoro autonomo in tutte le sue declinazioni, anche ibride. È un meccanismo non secondario per la fuoriuscita dallo stato di disoccupazione, come è noto, soprattutto nelle aree in ritardo di sviluppo. Difficile pensare di poterlo coniugare affidando esclusivamente le risorse alle aziende nell’ottica di un lavoro subordinato. È comunque certo che le imprese esistenti hanno e avrebbero comunque un ruolo centrale. Le nuove imprese, il lavoro autonomo non possono nascere e crescere come isolati cactus in un deserto: è necessario favorire e fertilizzare un ecosistema che ne consenta lo sviluppo in una logica di rete.

A chi fa paura tutta questa ineluttabile complessità, al punto di semplificarla a soluzioni da circolo della briscola?

 

Paolo La Carrubba
Presidente di Itinerari per il Lavoro

 

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COSA NON DEVONO (PIU') ESSERE I CENTRI PER L'IMPIEGO

Lo sono quasi sempre ora: impongono faticose maratone, spesso notturne, che fanno sudare e faticare senza che si ottenga un minimo spostamento in direzione dell'obiettivo-carota. Viene retoricamente promesso, ma in queste strutture pochi hanno in realtà idee su come sostenere il lavoratore-maratoneta nel suo tentativo di raggiungerlo.

E in Sicilia c'è pure chi ha il coraggio di dire che è tutto a posto così, che al massimo servono computer, toner, carta e un bel softwarone.

Una vignetta di Donarelli su Repubblica Palermo del 19 ottobre 2018. Un editoriale grafico.

COSA NON DEVONO (PIU') ESSERE I CENTRI PER L'IMPIEGO

PAPOCCHI, AMMUINE E CASSATE: LA CRISI (SOCIALE) DELLA FORMAZIONE E DEI SERVIZI PER IL LAVORO IN SICILIA

 

Il 9 agosto 2018 il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, invia una lettera al ministro Luigi Di Maio. Oggetto: “Formazione e sportellisti”. [ http://www.regioni.it/dalleregioni/2018/08/09/sicilia-regione-formazione-e-sportellisti-musumeci-scrive-a-di-maio-574042/ ]

Chi sono gli “sportellisti”? Perché il presidente della Regione Siciliana scrive al ministro? Che c’entra la Formazione? Gli “sportellisti” sono operatori che hanno lavorato in strutture private che offrivano servizi di orientamento, successivamente accreditate ai sensi del DM 166/2001 e finanziate dalla Regione Siciliana denominate “Sportelli Multifunzionali”. L’idea nacque sul finire degli anni ’90: ridurre il personale e la spesa per la formazione professionale trasferendo gli operatori in strutture orientative. Gli sportelli multifunzionali entrarono in funzione tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001. Dovevano diventare le sedi periferiche dell’Agenzia Regionale per l’Impiego e occuparsi di politiche attive del lavoro integrando l’azione dei centri per l’impiego, uffici periferici del Dipartimento Regionale del Lavoro.

Il presidente Musumeci scrive al ministro Di Maio: «Al di là di ogni possibile valutazione sulle origini e sulle cause che, in un lungo arco temporale, hanno generato, nel settore, il sovradimensionamento degli addetti - scrive ancora il presidente Musumeci - si consolida oggi una vera e propria emergenza sociale i cui impatti umani ed economici non sono ulteriormente tollerabili.» Vero: c’è un grande problema e va risolto, indipendentemente dalle cause che l’hanno generato. Però è il caso di capire cosa è successo e quando.

Nel 2003 il capitolo del bilancio della Regione Siciliana era lo stesso per formazione professionale e sportelli multifunzionali e la spesa ammontava a 116 milioni di euro. Nel 2010 la spesa complessiva ammontava a circa 347 milioni di euro: triplicata. La sola formazione professionale costava 278 milioni di euro. Ma non si sarebbe dovuta ridurre di volume, a seguito della fuoriuscita del personale verso quelle strutture orientative denominate sportelli multifunzionali? E invece… carta vince, carta perde… dopo lo scorporo della spesa per gli sportelli multifunzionali, nel 2005 la formazione professionale costava 119 milioni di euro e gli sportelli multifunzionali circa 48,5 milioni. C’era già stato un aumento della spesa nel 2004 di circa il 33%. Un altro salto da Guinness si è registrato nel 2006, l’anno successivo allo scorporo: la formazione professionale passò da un finanziamento di 119 milioni a 208,5 milioni. Nel frattempo lo stanziamento per gli sportelli multifunzionali passò dai 48,5 milioni del 2005 agli 84,5 milioni del 2010. Guarda caso, a fine 2010 gli sportelli multifunzionali escono dal bilancio regionale per essere finanziati con fondi europei, seguiti dalla formazione professionale: fondi europei che non finanziano stipendi, notoriamente, ma azioni, progetti. Qui si realizza il papocchio: cioè in 7 anni si è consapevolmente ingigantito un sistema già considerato ipertrofico, lanciandolo verso il crollo, puntualmente avvenuto, con le conseguenze occupazionali che oggi si cerca di sanare. Ma, come dice il presidente Musumeci, poco importa: il problema va risolto. Se però qualcuno avesse la curiosità di andare a vedere chi governava la Regione e il sistema…

Un altro elemento critico dell’analisi del presidente Musumeci riguarda le prospettive per il personale, rebus sic stantibus, considerato, come sopra riportato, comunque “sovradimensionato”, cioè eccessivo per il comparto: «questo governo regionale, nell'arco di sette mesi, ha ripristinato le attività formative, cosicché è oggi possibile prevedere il parziale riassorbimento occupazionale dei lavoratori da tempo fuoriusciti dal bacino» […] «A questo punto, con l'intento di definire condivise linee di azione, ritengo utile e necessario richiedere un confronto con la S.V. e con il ministero che Ella dirige al fine di individuare sostenibili obiettivi e programmare adeguati interventi, volti ad arginare e risolvere la descritta situazione di crisi»

Ma qual è a situazione reale del personale del comparto, al netto delle mistificazioni diffuse da più parti? Nelle tabelle che seguono riportiamo un’analisi dell’albo regionale degli operatori della formazione pubblicato lo scorso 23 luglio.

 

ALBO OPERATORI FORMAZIONE SICILIA - SINTESI

D.D.G. N._3270_ del_23 luglio 2018

     


Le colonne si riferiscono ai tre ambiti fondamentali (impropriamente spesso definiti “filiere”): gli sportelli multifunzionali (servizi per il lavoro o “servizi formativi”), i percorsi di istruzione e formazione professionale per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione (IeFP), i corsi di formazione (“interventi formativi”). “quest” sta per “questionario” e si riferisce ad un “questionario conoscitivo” la cui compilazione e successivo invio è stato richiesto dal dipartimento regionale dell’istruzione e della formazione professionale agli iscritti all’albo. Secondo le fonti istituzionali, i questionari che risultano pervenuti sono 5.135, ma non tutti sono stati correttamente acquisiti. Si sta provvedendo a recuperare i dati non ancora inseriti.

La seconda tabella riguarda gli iscritti all’albo che hanno dichiarato di essere stati inquadrati nei ruoli più propriamente tecnici relativi all’erogazione dei vari servizi. Nell’ipotesi di definizione di un piano condiviso di ricollocazione del personale è intenzione delle varie istituzioni coinvolte, sembra, che ognuno venga ricollocato in ruoli corrispondenti alle proprie competenze, eventualmente dopo un percorso di aggiornamento o di riqualificazione.

     

SERVIZI FORMATIVI S.M.I.

I e F.P.

INTERVENTI FORMATIVI

TOTALE

   
   

DDG.693/ 2018 quest

840

296

2476

3612

   
   

Senza quest

1048

227

3434

4709

   
   

TOTALE

1888

523

5910

8321

   
                 
                 

SOLO AREA EROGAZIONE

       
                 
     

SERVIZI FORMATIVI S.M.I.

I e F.P.

INTERVENTI FORMATIVI

TOTALE

   
   

DDG.693/ 2018 quest

488

130

1249

1867

   
   

Senza quest

635

170

1746

2551

   
   

TOTALE

1123

300

2995

4418

   

 

Tra le cassate che riguardano l’argomento c’è quella arricchita e iperglassata riguardante il numero degli iscritti. Si legge da qualche parte che sarebbero 9.500. E invece no: sono 8.321. L’altra cassata confezionata ad arte sul tema è quella sul blocco delle assunzioni al 31 dicembre 2008. Il blocco non poteva esserci perché i soggetti che assumevano erano privati, e quindi liberi di assumere. Le assunzioni avrebbero potuto essere limitate con disposizioni indirette. Si è provato a bloccare l’iscrizione all’albo, con la deliberazione della giunta regionale n. 350 del 2010, impedendo l’iscrizione agli assunti successivamente al fatidico 31 dicembre 2008. Ma il TAR sentenzia regolarmente, su ricorso degli interessati, che non si può bloccare con una delibera della giunta regionale un albo istituito con una legge regionale (la LR 24 del 1976): è necessaria una norma di pari rango. E quindi i ricorrenti assunti dopo la suddetta data vengono regolarmente inseriti nell’albo.

Come ha agito la Regione Siciliana dal 2010 per ammortizzare l’implosione del sistema? Come ben si addice a questa parte importante del borbonico Regno delle Due Sicilia, facendo ammuina. Ovvero, con l’adozione del più siculo dei paradigmi, quello dell’“annacamento”: il massimo del movimento col minimo dello spostamento. E qui la più tradizionale delle Opere dei Pupi impallidirebbe per caratterizzazione delle parti, prevedibilità della pantomima, ovvietà del finale. Cioè? Cioè il nulla. Nessuna legge di riforma del comparto,  nessun piano concreto per il personale; chiacchiere sterminate; rassicurazioni paternalistiche di politici di maggioranza, assessori, dirigenti generali, e sostegno alle proteste da parte di politici di opposizione; promesse di leggi, percorsi e risorse destinate. Piattaforme rivendicative di sindacati “istituzionali” e gruppi informali autocostituiti, singolari modi di alzare le pretese man mano che le “trattative” (termine obiettivamente esagerato) procedevano senza risultati. E poi guerre tra poveri e intimidazioni reciproche, corti dei miracoli e varia umanità alla ribalta. E poi la chiusura progressiva di molti enti di formazione, compresi i più grandi e tradizionali, presenti nel resto d’Italia, attività formativa quasi inesistente da anni, assenza di reali servizi per le politiche attive dal 2013. In una parola: il risultato di questi ultimi 8 anni è stata la desertificazione. A tutti gli attori in campo vanno i nostri più sinceri e sentiti complimenti, ma in particolare le congratulazioni vanno ai seguaci di Quinto Fabio Massimo detto Cunctator (il temporeggiatore), che probabilmente hanno conseguito i loro fini.

La madre di tutte le cassate è l’intenzione di alcune parti di far corrispondere le sorti del personale con quelle del comparto: il comparto deve tornare retrotopicamente allo stato degli anni del papocchio perché ciascuno possa “riprendere il proprio lavoro”. Ma al momento il comparto è finanziato con fondi europei, che hanno regole diverse da quelle autarchiche che si era potuta dare la Regione Siciliana, e i fondi disponibili sono notevolmente inferiori a quelli del primo decennio di questo secolo.

L’attuale assessore della formazione e dell’istruzione Prof. Roberto Lagalla, insieme ai suoi qualificati collaboratori, ha analizzato le risorse disponibili, il quadro normativo, le criticità che hanno impedito l’attività formativa negli scorsi anni e ha valutato quale sistema potesse essere costruito a partire da questi presupposti, facendo tesoro delle lezioni apprese dalle esperienze di altri territori (un must della programmazione europea, tra l’altro). È quindi stato delineato e realizzato un sistema possibile: un repertorio delle qualifiche aggiornato attraverso confronti con le parti sociali, un bando per la costituzione di un catalogo dell’offerta formativa, la concessione dei finanziamenti attraverso una procedura a sportello sulla base degli iscritti ai corsi in catalogo. Certamente il sistema sarà oggetto di una messa a punto, ma intanto si è messo in moto, con una sua consistenza. Contemporaneamente sono state implementate procedure per la selezione del personale da parte dei soggetti attuatori che potessero in qualche modo tutelare il personale dell’albo. Ma è la stessa fonte di finanziamento dell’attività che non consente di immaginare rapporti stabili per il personale attualmente iscritto all’albo e disoccupato. L’esigenza di tutelare il personale non può tra l’altro prescindere dalla superiore esigenza di offrire servizi efficaci, o almeno di provare a farlo. Niente che non fosse implementato in quest’ottica avrebbe la possibilità di sopravvivere più di qualche mese, come la storia recente insegna.

Quindi la tutela reale del personale sta nell’individuare un percorso per ciascuno, date le risorse disponibili presumibilmente al di fuori del comparto, con il concorso dell’intera giunta regionale e con la definizione di percorsi e risorse aggiuntive insieme al governo nazionale. Le dimensioni delle conseguenze occupazionali del crollo dopo il papocchio sarebbero state evidenziate come drammatiche da almeno 5 anni per qualunque altro comparto in qualunque altro posto del mondo occidentale. In Sicilia no: qui ammuina, cassate e annacamento. Per anni. Ovviamente il problema non si è ridotto di complessità, è solo sceso il numero dei soggetti “attivi” iscritti all’albo, per vari motivi, come è facile immaginare.

L’assessore Lagalla ha comunque lavorato su un piano per il personale che prevede pensionamenti anticipati, provando a dare concretezza a ipotesi formulate in anni precedenti, fuoriuscita volontaria, e ricollocazione all’esterno del comparto, con un accordo già firmato riguardante il programma Agenda Digitale.

Oltre ai programmi messi in atto dall’assessore Lagalla, nell’attuale legislatura appare significativo solo un altro atto, la deliberazione della giunta regionale n. 166 del 10 aprile 2018 (http://www.regione.sicilia.it/deliberegiunta/file/giunta/allegati/Delibera_166_18.pdf), che consiste nella definizione di un quadro strategico per la “Creazione rete servizi per il lavoro”, una rete che integri servizi per il lavoro, politiche attive del lavoro, attività formativa e istruzione. Ma si tratta appunto di una delibera quadro che finora purtroppo non ha avuto seguito.

Quindi sul fronte del personale proveniente dagli sportelli multifunzionali non ci sono atti concreti. Ci sono articoli di leggi collegate al bilancio della Regione Siciliana del 2016 e del 2017 che introducono la possibilità di affidare azioni di potenziamento dei centri per l’impiego all’ente in house Ciapi di Priolo e ai soggetti accreditati per i servizi per il lavoro, in regime di sussidiarietà orizzontale, così come avviene in altre regioni ed è consentito dal quadro nazionale. L’ottica è quella di impiegare il personale competente in servizi utili ed efficaci per i cittadini. Nelle sue dichiarazioni programmatiche, tra l’altro, il presidente Musumeci introduce l’ipotesi della creazione di un’agenzia unica regionale per la formazione e il lavoro, agenzia che trova spazio anche nell’ultimo documento di economia e finanza (DEF regionale), elemento fondamentale per il triennio 2018-2020. Un’agenzia con responsabilità dirette nell’erogazione di servizi per le politiche attive del lavoro e con “un ruolo di regia e coordinamento anche degli enti accreditati alla formazione ed ai servizi del lavoro”. Ma non c’è nemmeno un cenno di implementazione di tutto questo.

Il potenziamento dei servizi per il lavoro, dei servizi per le politiche attive del lavoro, è però un’esigenza che non può attendere ancora a lungo di essere soddisfatta, e questo sia a livello nazionale che regionale (lo stesso ministro Di Maio ha dichiarato che “La Sicilia è la regione che è messa peggio per quanto riguarda i centri per l'impiego” – (http://palermo.repubblica.it/politica/2018/07/22/news/di_maio_a_caltanissetta_noi_ai_trattati_con_nord_africa_e_canada_cosi_difenderemo_l_agricoltura_siciliani_-202411831/). I servizi italiani non sono nemmeno confrontabili con quelli degli altri paesi UE. E sembra impossibile raggiungere i livelli necessari in tempi accettabili con un sistema puramente pubblico. Servizi per le politiche attive del lavoro efficaci erano già necessari per completare il disegno del cosiddetto Jobs Act e lo sono ancora di più per l’implementazione delle politiche del lavoro e per lo sviluppo dell’attuale governo nazionale.

Sul sito del ministero del lavoro e delle politiche sociali il 10 agosto viene pubblicato un comunicato (http://www.lavoro.gov.it/stampa-e-media/comunicati/pagine/di-maio-su-ex-sportellisti-siciliani-cerchiamo-soluzione-a-danno-clientelare-generato-da-giunte-di-destra-e-sinistra.aspx/), dal quale si deduce innanzitutto che è necessario lavorare ancora un po’ per assicurarsi che il quadro siciliano sia chiaro al nuovo ministro e al suo staff, ma anche che il riordino del sistema siciliano, del quale la Regione Siciliana ha piena responsabilità, dovrà avvenire nel quadro delle strategie nazionali e con il fine di rafforzare l’attuazione delle politiche per il lavoro. Dal tono del comunicato sembra che il ministro escluda il riproporsi di nostalgici papocchi o di persistere nelle politiche dell’ammuina e dell’annacamento, e tantomeno di assecondare la diffusione di nuove cassate.

È necessario procedere per passaggi successivi: attivare immediatamente azioni transitorie che pongano in qualche modo rimedio agli anni di sterile inerzia, mobilitando ogni risorsa possibile, e nel frattempo costruire un sistema coerente, consistente, sostenibile. Che non abbia fondamenta di cartone che lo facciano crollare come i papocchi del recente passato.

Attenzione però che quel tavolo di confronto richiesto dal presidente della Regione Siciliana, facendo seguito a ragionamenti già condivisi con il livello nazionale, non diventi il campo di gioco per uno degli sport nazionali più praticati: il gioco del cerino. Se così fosse, qualcuno al tavolo si brucerebbe senz’altro le dita, ma definitivamente bruciati ne uscirebbero gli operatori del comparto e i cittadini siciliani, umiliati ancora dall’inesistenza di servizi fondamentali e di cui hanno diritto, dall’impossibilità di esercitare pienamente i propri diritti di cittadinanza, come ha recentemente osservato il direttore dello Svimez Luca Bianchi a proposito del Mezzogiorno nel suo complesso.

Siamo certi che la qualità e la determinazione di chi condividerà la regia del tavolo di confronto saranno in grado di scongiurare il rischio.

 

PAPOCCHI, AMMUINE E CASSATE: LA CRISI (SOCIALE) DELLA FORMAZIONE E DEI SERVIZI PER IL LAVORO IN SICILIA

 

  papocchi_ammuine_e_cassate.pdf

UN NUOVO DIRETTIVO PER ITINERARI PER IL LAVORO

Oggi, giovedì 1 febbraio 2018, l’assemblea dei soci di Itinerari per il Lavoro ha eletto un nuovo consiglio direttivo. I componenti e le cariche:

Tony Danile - Consigliere

Letizia Gargano - Segretario

Franco Iemmolo - Vicepresidente

Paolo La Carrubba - Presidente

Nunzio Longhitano - Tesoriere

Giuseppe Miccichè - Consigliere

Giuseppina Oddo - Consigliere

Luigi Renna - Consigliere

Giuseppe Spina - Consigliere

L’assemblea ha inoltre definito le linee d’azione dell’associazione per i prossimi mesi, focalizzando l’attenzione sulle urgenze relative alle politiche e ai servizi per il lavoro in Sicilia e ai livelli occupazionali degli operatori.

Le prossime iniziative pubbliche di Itinerari per il Lavoro saranno rese note nelle modalità consuete.

IL LAVORO, LE POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO, I SERVIZI PER IL LAVORO E LE ELEZIONI REGIONALI SICILIANE

I candidati alla presidenza della Regione Siciliana hanno presentato il loro programma. Tra le altre cose, ovviamente, si parla del problema dei problemi, che aspetta la soluzione delle soluzioni: il lavoro.

Nei programmi dei candidati si parla di stage alla Regione per i giovani, di sostegno alle start-up e alla cooperazione, c’è molta attenzione per la creazione d’impresa in genere, per stabilizzazione dei precari per ipotesi di un nuovo sistema formativo, per non specificate “riforme” dei Centri per l’impiego.

Ma c’è una visione del mercato del lavoro siciliano? Del modo in cui i lavoratori possono e devono essere sostenuti nella ricerca di un’occupazione? Dei cambiamenti in corso nel lavoro e degli scenari che si preparano per il futuro? Di quali politiche attive del lavoro potranno e dovranno essere attuate in Sicilia? Di quali servizi potranno e dovranno essere offerti ai cittadini per perseguire l’obiettivo della piena inclusione sociale, economica e lavorativa di coloro che vivono in questa Regione? Di quali sono gli orientamenti europei, le politiche e le norme nazionali e regionali che definiscono il contesto attuale nel quale muoversi e di cui eventualmente immaginare una riforma, e quale riforma?

Itinerari per il Lavoro, dal suo punto di osservazione e partendo esattamente dall’attuale contesto e da un’analisi delle criticità, ha messo a punto la proposta di un’”Agenda per i Servizi per il Lavoro in Sicilia”, su cui ha già aggregato consensi e che sosterrà concretamente e risolutamente nei confronti della prossima amministrazione regionale.

 

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Un’agenda per i Servizi per il Lavoro in Sicilia

Costruire una sostenibilità economica di servizi efficaci.

  1. I servizi per il lavoro privati

Definizione chiara di un modello del sistema misto pubblico-privato dei servizi per il lavoro, nazionale e regionale, nell'ottica dell'offerta di servizi a tutti i lavoratori, così come previsto dal paradigma della flexicurity. Nell’ambito del modello generale, definizione di un modello economico sostenibile per i soggetti accreditati per i servizi per il lavoro profit e no profit, prevedendo anche il superamento delle misure con finanziamento a risultato, di tipo pay by result come l’assegno di ricollocazione, e il peggiore contratto di ricollocazione siciliano, come sole misure destinate ai servizi per il lavoro privati, in quanto parziali, non sostenibili, inadeguate rispetto ai posti di lavoro vacanti e aleatorio rispetto agli obiettivi, mentre l’Europa si spende sull’orientamento permanente, lungo tutto l’arco della vita lavorativa. Le stesse misure con finanziamento a risultato implicano un rischio per il soggetto attuatore, rischio che va comunque compensato con criteri di equità in relazione al territorio di riferimento perché non siano una perdita certa anche per i soggetti attuatori più efficaci.

  1. Sussidiarietà

Applicazione degli articoli 12 e 13 della LR 8/2016 (recepimento D.Lgs. 150/2015 e sussidiarietà nei servizi per il lavoro in Sicilia, cioè offerta dei servizi per il lavoro di base anche attraverso i soggetti accreditati).

  1. Accreditamento

Modifica delle norme di accreditamento e audit regionale siciliano in modo da rendere sostenibile l'attività per i servizi per il lavoro privati, tenuto conto delle norme nazionali e delle condizioni reali di esercizio, senza requisiti inutilmente restrittivi rispetto alla tipologia delle attività (requisiti previsti per i locali, obbligo di attività pregressa non richiesto dalle altre Regioni, contratto operatori anche di tipo professionale aperto e non solo subordinato).

  1. Risorse

Individuazione e piano di impegno di risorse europee, nazionali e regionali a breve, medio e lungo termine per il finanziamento dei servizi per il lavoro (che devono essere a costo zero per i lavoratori, per legge e per convenzioni internazionali), per garantire continuità ai servizi privati e che consentano di attuare progettualità e investimenti.

  1. Operatori ex sportelli multifunzionali

Risoluzione delle ambiguità relative al personale proveniente dai soppressi sportelli multifunzionali: un percorso per ciascuno, realistico e attuabile (ricollocazione anche esterna al settore pensionamenti anticipati, esodi incentivati, autoimpiego), con attribuzione di un significato certo all'elenco ad esaurimento.

  1. Organismo in house

Attribuzione di un ruolo chiaro al Ciapi di Priolo: agenzia tecnica intermedia, APL tra le APL o ente in house per progetti specifici.

  1. Reti di soggetti accreditati

Prevedere le reti di soggetti accreditati come possibile componente della rete dei servizi per le politiche attive del lavoro attraverso l'armonizzazione di norme e disposizioni. Le reti di soggetti accreditati devono poter partecipare come soggetto formalizzato a bandi, avvisi e attività istituzionali riguardanti il mercato del lavoro.

   itinerari_per_il_lavoro_-_agenda_per_servizi_per_il_lavo-1.pdf

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