SICILIA, CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE: UN BANDO INSOSTENIBILE

In piena calura estiva l’assessorato del lavoro della Regione Siciliana pubblica un avviso congelato su un sistema di misure denominato “Contratto di Ricollocazione”, su questa pagina:

Contratto di Ricollocazione Regione Siciliana – 4 agosto 2017

Il contratto di ricollocazione, abbreviato in “Co.d.R.” sull’avviso, nonostante il caldo agostano e luciferino nasce congelato perché non c’è nessuna “call for action”, nessuna azione possibile al momento: i soggetti accreditati per i servizi per il lavoro potranno presentare una manifestazione d’interesse “mediante procedura a sportello con finestre temporali mensili, ciascuna con chiusura all'ultimo giorno del mese”. Per quanto riguarda i destinatari, “Il Dipartimento Lavoro, attraverso specifica informativa pubblica (avviso ai destinatari), rende noto ai potenziali destinatari le caratteristiche del dispositivo del Co.d.R. e le relative procedure di accesso”, anche questa in futuro.

Il piano di inserimento personalizzato può prevedere due tipi di percorso: accompagnamento al lavoro subordinato o accompagnamento al lavoro autonomo. Per ciascuno dei due percorsi sono previste attività ben identificate e con una durata in ore rigidamente stabilita in base alla profilazione (definita stranamente profilatura in difformità col termine adottato dall’Anpal) del destinatario.

Il finanziamento della misura è a rimborso in base al risultato occupazionale conseguito. Il rimborso in caso di successo del percorso al massimo livello, è di 34 €/ora. Il rimborso si riduce in caso di insuccesso occupazionale (altamente prevedibile) o di successo parziale. Il rimborso minimo è di 10 €/ora. In pratica, visto che c’è un vincolo forte sulla durata delle azioni, se va bene il rimborso copre le spese, altrimenti rimane ben al di sotto anche del solo costo del personale. La sostenibilità delle azioni sembra ancora una volta non essere presa in considerazione dagli organi della Regione Siciliana.

Supporre che il successo del percorso di ricollocazione debba essere la norma cozza con i risultati di studi e indagini, ed è tanto più velleitario in una regione con le difficoltà occupazionali come la Sicilia. Per le considerazioni sulle finalità dei servizi per le politiche attive del lavoro rinviamo al nostro articolo del 5 aprile 2017 pubblicato in questo stesso blog. Qui vogliamo brevemente occuparci della potenziale efficacia della misura, con riferimento alla curva di Beveridge.

Nel diagramma che segue è riportata una curva di Beveridge relativa all’Italia. Per noi, in questa sede, ha un valore indicativo, ma significativo: nel quarto trimestre 2015 il rapporto tra tasso di disoccupazione e tasso di posti vacanti è circa di 11.5/0.7, cioè i disoccupati in cerca di lavoro sono circa 16 volte più numerosi dei posti di lavoro vacanti. Quindi matematicamente quindici disoccupati su sedici non possono trovare lavoro in tempi brevi. Nel caso in cui i servizi di intermediazione del lavoro, di incrocio domanda-offerta, vengano resi più efficaci questo rapporto migliora leggermente. Ma come si rendono più efficaci i servizi per il lavoro? Quanto tempo richiede lo sviluppo di tali servizi? La storia della rete pubblico-privato dei servizi per le politiche attive del lavoro prevista dal Jobs Act (D. Lgs. 150/2015) testimonia la complessità dell’impresa. Di certo non la si risolve con un bando come quello di cui ci stiamo occupando.

Curva di Beveridge Italia

 

WorkMag (http://www.workmag.it/2016/03/aumentano-i-disoccupati-ed-anche-i-posti-vacanti/)

Inoltre i percorsi guidati dagli operatori tendono ad essere efficaci solo con i lavoratori più facilmente impiegabili (le cui competenze e abilità sono richieste dal mercato del lavoro locale), mentre non aiutano molto i lavoratori meno desiderabili.

Se ci sono meno posti di lavoro che persone in cerca di lavoro (ed è il caso dell’Italia, testimoniato dalla curva di Beveridge precedente) i percorsi possono aiutare alcuni lavoratori ad ottenere i posti di lavoro disponibili a spese degli altri in cerca di lavoro.

[Michael Rosholm, Do case workers help the unemployed? https://wol.iza.org/articles/do-case-workers-help-the-unemployed]

Il lavoro non si crea con le misure di politica attiva del lavoro, ma con un’integrazione di misure di vario tipo che comprendano certamente le misure di politica del lavoro ma partano da misure di politica economica e industriale.

Quindi qual è il senso di questa misura, ora, in Sicilia, dichiaratamente complementare ad ogni altra misura di politica attiva del lavoro, e soprattutto all’assegno di ricollocazione gestito dall’Anpal?

In cauda venenum… e il veleno sta in quello che potrebbe sembrare un colpo di genio: usare gli enti attuatori come istituti di credito per anticipare senza interessi indennità ai disoccupati. Già: è prevista un’indennità di 4 €/ora per i destinatari, indennità che deve essere anticipata dai soggetti attuatori e poi rendicontata per ottenere il rimborso. Con un profiling “Alto” il destinatario percepisce 944 euro, quindi con 100 utenti di questo livello un soggetto attuatore solo per le indennità si troverebbe ad anticipare poco meno di 100mila euro. Alla fine e a conti fatti l’aspetto più rilevante (il reale obiettivo?) della misura è la corresponsione di un sostegno al reddito a spese dei soggetti attuatori, senza alcuna valutazione della sostenibilità economica dell’attività complessiva definita dall’avviso. Senza alcuna valutazione lo supponiamo, perché se qualcuno l’avesse valutata sarebbe emersa l’insostenibilità.

La domanda che a questo punto è doveroso porsi è: perché operatori, agenzie, organizzazioni in genere accreditate, con una dirigenza di normale quoziente intellettivo e con una gestione onesta, dovrebbero presentare una manifestazione di interesse per questo bando? Da tecnici e da stakeholder ci auguriamo che una volta almeno si abbandonino atteggiamenti da sudditi e nessuno si presenti all’appello di questa irragionevole misura.

PER CHI SONO I SERVIZI PER IL LAVORO? QUALE SISTEMA SI VUOLE IMPLEMENTARE? SICILIA METAFORA DEL “NON POSSO”

È il caso di partire da qualche dato ufficiale. Ci siamo chiesti quanti siano gli addetti ai servizi per il lavoro pubblici per ogni lavoratore che abbia diritto a fruire di quei servizi. Abbiamo ascoltato e letto varie indicazioni di questo rapporto, comparato con altri paesi membri dell’Unione Europea, in relazioni tecniche, in interrogazioni nelle aule parlamentari, ma abbiamo preferito andare a cercarli alla fonte. Siamo rimasti sorpresi dalla difficoltà di reperimento di tali dati. Abbiamo deciso di incrociare dati di fonti che abbiamo ritenuto compatibili e riferiti allo stesso periodo.

EUROSTAT

 

 

WAPES-IDB-OECD

 

   

Persons registered with Public Employment Services (source: DG EMPL) 

PES Number of staff (*)

Jobseekers per staff

 

Annual average stock 

 

         

Registered jobseekers 

 

         

 

2014

 

         

Belgium

593.995

 

         

Bulgaria

366.776

 

         

Czech Republic

555.585

 

9.020

 

61,59

   

Denmark

178.893

 

         

Germany

5.018.100

 

93.900

 

53,44

   

Estonia

29.303

 

         

Ireland

383.779

 

         

Greece

1.012.955

 

         

Spain

5.972.391

 

         

France

5.340.804

 

53.000

 

100,77

   

Croatia

329.646

 

         

Italy

7.964.000

 

8.429

(**)

944,83

   

Latvia

87.396

 

         

Lithuania

226.679

 

1.441

 

157,31

   

Luxembourg

18.323

 

         

Hungary

422.445

 

4.333

 

97,49

   

Malta

8.066

 

         

Netherlands

1.014.900

 

4.365

 

232,51

   

Austria

332.846

 

         

Poland

1.862.384

 

         

Portugal

839.610

 

         

Romania

477.220

 

         

Slovenia

130.770

 

920

 

142,14

   

Slovakia

392.520

 

         

Finland

571.618

 

3.200

 

178,63

   

Sweden

677.786

 

12.560

 

53,96

   

Norway

250.712

 

         

Ukraine

 

 

15.490

       

 

 

 

         

 

 

 

(*) WAPES-IDB 2014 Survey - Dati pubblicati in "IDB-WAPES-OECD - The World of Public Employment Services"

 

 

 

 

(**) Dati MLPS 2014. Il 10,7% degli addetti ha un contratto a termine.

 

:

 

 

         

Source of Data: European Commission - Directorate general for employment, social affairs and inclusion (DG EMPL)

Last update: 17.03.2017 

         

Date of extraction: 29 Mar 2017 19:49:07 CEST

         

Hyperlink to the table: http://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&init=1&plugin=1&language=en&pcode=tps00081

                 

 

I dati italiani sul numero di addetti sono stati ricavati dal monitoraggio sui servizi per l’impiego del MLPS del 2014, in quanto l’Italia non ha partecipato all’indagine mondiale WAPES-IDB-OECD. Per quanto riguarda le persone in cerca di lavoro (“jobseekers”), Eurostat non riporta dati per il 2015 per l’Italia. Per questi motivi abbiamo deciso di riferire i conteggi e la comparazione, peraltro indicativi, al 2014.

In ogni caso, l’Italia presenta il rapporto persone in cerca di lavoro / addetti di gran lunga peggiore tra gli stati rilevati, circa 10 volte peggiore rispetto alla Francia, circa 18 volte rispetto alla Germania.

Ma a cosa servono, o meglio a cosa dovrebbero servire questi servizi per il lavoro?

Cominciamo col richiamare un concetto fondamentale nel mercato del lavoro degli ultimi anni: la flexicurity, la “flessicurezza”.

Secondo la Commissione Europea, la flexicurity è una strategia integrata per migliorare, allo stesso tempo, flessibilità e sicurezza nel mercato del lavoro. Si tenta di conciliare il bisogno dei i datori di lavoro di una forza di lavoro flessibile con il bisogno dei lavoratori di sicurezza - la fiducia che non si troveranno ad affrontare lunghi periodi di disoccupazione. Cioè l’impresa deve poter adeguare la forza lavoro ai cambiamenti, ma nello stesso tempo un sistema efficace di politiche attive del lavoro deve agevolare il passaggio da un impiego all’altro o dallo stato di non occupato a quello di occupato. I principi della flexicurity devono essere implementati dai singoli stati membri.

Ci sono altri elementi che ci aiutano a capire perché e con quale fine vanno organizzati e offerti adeguati servizi per le politiche attive del lavoro.

Convenzione ILO (International Labour Organization, ovvero OIL, Organizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia dell’ONU) n.122 del 1964, pubblicata in Italia sulla Gazzetta Ufficiale nel 1970.

Articolo 1

1.    Allo scopo di stimolare il progresso e lo sviluppo economico, di elevare i livelli di vita, di corrispondere ai bisogni di manodopera e di risolvere il problema della disoccupazione e della sottoccupazione, ogni Stato membro formulerà ed applicherà, come obiettivo essenziale, una politica attiva tendente a promuovere il pieno impiego, produttivo e liberamente scelto.

2.    Tale politica dovrà tendere a garantire:

a)       che vi sarà lavoro per tutte le persone disponibili e in cerca di lavoro;

b)      che tale lavoro sarà il più produttivo possibile;

c)       che vi sarà libera scelta dell’occupazione e che ogni lavoratore avrà tutte le possibilità per acquisire le qualificazioni necessarie per occupare un impiego che gli convenga e di utilizzare in tale impiego le sue qualificazioni nonché le sue attitudini, qualunque sia la sua razza, il suo sesso, la sua religione, la sua opinione politica, la sua ascendenza nazionale o la sua origine sociale.

Detta politica attiva dovrà tener conto della situazione e del livello di sviluppo economico così come dei rapporti esistenti tra gli obiettivi dell’impiego e gli altri obiettivi economici e sociali e sarà applicata con metodi adatti alle condizioni ed agli usi nazionali.

 

A testimoniare la validità in corso della convenzione 122, la stessa viene richiamata dalla circolare n. 34 del 2015 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, successiva alla pubblicazione degli 8 decreti legislativi del Jobs Act. Dice la circolare:

“Va tuttavia specificato che, ai fini dell’accesso ai servizi ed alle misure di politica attiva del lavoro, lo stato di disoccupazione rappresenta certamente un elemento che può essere considerato allo scopo di meglio mirare l’intervento o di stabilire criteri di priorità, ma non rappresenta un requisito esclusivo. In un’ottica di servizio nei confronti degli utenti, infatti, un’assistenza nella ricerca di occupazione, nonché nell’orientamento verso percorsi di riqualificazione, non può non essere prestata nei confronti coloro che la richiedano, anche se impegnati in attività lavorative non a tempo pieno, o scarsamente remunerative, o non confacenti al proprio livello professionale o semplicemente perché alla ricerca di una occupazione più confacente alle proprie aspettative.

 

Ciò nel rispetto della convenzione OIL n. 122/1964 sulla politica d’impiego, nonché del principio di non discriminazione e di quanto previsto dall’articolo 29, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, relativo al diritto di accesso ai servizi di collocamento, secondo cui “ogni persona può accedere a un servizio di collocamento gratuito”. Si rappresenta, tuttavia, l’opportunità di offrire i servizi e le misure di politica attiva del lavoro prioritariamente ai soggetti disoccupati, al fine di garantire servizi più rapidi ed efficaci ai soggetti che ne hanno più bisogno, anche in ragione del rispetto delle tempistiche dettate dal decreto legislativo n. 150/2015 (artt. 2 e 20).”

 

Quindi lo scopo principale dei servizi per il lavoro non è collocare i lavoratori traendone profitto ma assistere i lavoratori, sia occupati che non occupati, nella ricerca di un’occupazione adeguata alle proprie inclinazioni e aspirazioni e devono farlo per tutta la durata della vita lavorativa. Si parla di orientamento permanente (lifelong guidance).

 

Convenzione ILO n.181/1997 sulle agenzie per l’impiego private,

pubblicata in Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana il 2 febbraio 2000

 

Articolo 1

1. Ai fini della presente convenzione, l’espressione «agenzia d’impiego privata» indica ogni persona fisica o morale, indipendente dalle autorità pubbliche, che fornisce uno o più dei seguenti servizi relativi al mercato del lavoro:

a)       servizi volti ad abbinare le offerte e le domande d’impiego senza tuttavia che l’agenzia d’impiego privata divenga parte delle relazioni di lavoro che potrebbero derivarne;

b)      servizi consistenti nell’assumere lavoratori allo scopo di metterli a disposizione di una terza persona fisica o morale (di seguito designata «impresa utilizzatrice») che stabilisce i loro compiti e ne sorveglia l’esecuzione;

c)       altri servizi relativi alla ricerca di lavoro, determinati dall’autorità competente previa consultazione delle organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori più rappresentative, come ad esempio la fornitura d’informazioni, senza tuttavia che ciò implichi l’abbinamento di un’offerta e di una domanda specifiche.

2. Ai fini della presente convenzione, il termine «lavoratori» include i richiedenti di lavoro.

3. Ai fini della presente convenzione, l’espressione «elaborazione di dati personali relativi ai lavoratori» indica la raccolta, lo stoccaggio, la combinazione e la comunicazione di dati personali, o ogni altro uso che potrebbe essere fatto di qualsiasi informazione relativa ad un lavoratore identificato o identificabile.

 

[…]

 

Il comma 1 dell’articolo 7:

1. Le agenzie per l’impiego private non devono far pagare ai lavoratori, direttamente o indirettamente, spese o altri costi.

Il comma 1 dell’articolo 11 del D.Lgs. 276/2003, attuativo della cosiddetta Legge Biagi dispone perentoriamente la gratuità dei servizi per i lavoratori.

D.Lgs. 276/2003, attuativo della cosiddetta Legge Biagi art. 11 comma 1

È fatto divieto ai soggetti autorizzati o accreditati di esigere o comunque di percepire, direttamente o indirettamente, compensi dal lavoratore.


È il caso di citare, infine, la Carta dei Diritti dell’Unione Europea:

Carta dei Diritti dell’Unione Europea

Articolo 15

Libertà professionale e diritto di lavorare

1.       Ogni persona ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata.

2.       Ogni cittadino dell’Unione ha la libertà di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro.

3.       I cittadini dei paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell’Unione.

Articolo 29

Diritto di accesso ai servizi di collocamento

Ogni persona ha il diritto di accedere a un servizio di collocamento gratuito.

 

E ancora: i servizi per il lavoro, pubblici e privati, devono sostenere l’esercizio di questi diritti.

Visto che gli altri paesi impiegano nei servizi pubblici un personale notevolmente più numeroso di quello impiegato in Italia, ed escludendo che siano appassionati di sperperi, si pone il problema di adeguare i servizi italiani al problema, e alla strategia europea per l’occupazione. Questa strategia europea per l’occupazione, si propone, tra l’altro, la convergenza della dimensione economica e sociale delle politiche del lavoro, coniugando inclusione lavorativa e sociale, contrasto alla povertà, prevenzione e contrasto della disoccupazione di lunga durata, prevenzione e contrasto della disoccupazione giovanile.

L’Italia si presenta a queste sfide, recepite in buona parte con alcuni provvedimenti legislativi tra i quali il D.Lgs 150/2015, uno degli attuativi del Jobs Act, sulle politiche attive del lavoro e la legge delega sul contrasto alla povertà.

Il D.Lgs. 150 all’art. 18 presenta un elenco dei servizi che devono essere offerti prioritariamente dai servizi pubblici per l’impiego:

Dall’art.18 del D.Lgs. 150/2015,

 

a)    orientamento di base, analisi delle competenze in relazionealla situazione del mercato del lavoro locale e profilazione;

b)    ausilio alla ricerca di una occupazione, anche mediante sessioni di gruppo, entro tre mesi dalla registrazione;

c)    orientamento specialistico e individualizzato, mediante bilancio delle competenze ed analisi degli eventuali fabbisogni in termini di formazione, esperienze di lavoro o altre misure di politica attiva del lavoro, con riferimento all'adeguatezza del profilo alla domanda di lavoro espressa a livello territoriale, nazionale ed europea;

d)    orientamento individualizzato all'autoimpiego e tutoraggio per le fasi successive all'avvio dell'impresa;

e)    avviamento ad attività di formazione ai fini della qualificazione e riqualificazione professionale, dell'autoimpiego e dell'immediato inserimento lavorativo;

f)     accompagnamento al lavoro, anche attraverso l'utilizzo dell'assegno individuale di ricollocazione;

g)    promozione di esperienze lavorative ai fini di un incremento delle competenze, anche mediante lo strumento del tirocinio;

h)    gestione, anche in forma indiretta, di incentivi all’attività di lavoro autonomo;

i)      gestione di incentivi alla mobilità territoriale;

l)      gestione di strumenti finalizzati alla conciliazione dei tempi di lavoro con gli obblighi di cura nei confronti di minori o di soggetti non autosufficienti;

m)  promozione di prestazioni di lavoro socialmente utile, ai sensi dell'articolo 26 del presente decreto.

 

È del tutto evidente che i Centri per l’Impiego non possono essere attualmente pronti a fornire questi servizi a tutta la platea dei lavoratori aventi diritto, come definita precedentemente, sia per il numero di addetti, evidentemente insufficiente, sia per qualifiche e competenze di almeno buona parte degli operatori.

Si intende attuare un massiccio piano di assunzioni nei servizi pubblici di personale qualificato? O magari si pensa di ricorrere a strategie alternative come la fata madrina per trasformare istantaneamente le risorse umane attualmente disponibili e le loro energie?

Oppure, meglio, si può pensare di stabilizzare un modello che adotti una forma di sussidiarietà orizzontale per la fornitura degli stessi servizi? Sussidiarietà che d’altra parte è prevista, in via temporanea, dal già citato art. 18 del D.Lgs. 150/2015, nella quasi totalità delle convenzioni Regioni-Ministero e in Sicilia addirittura in una legge regionale, finora rimasta senza attuazione:

Regione Siciliana, LR n.8/2016

 

Art. 12.

Riforma dei servizi per il lavoro e delle politiche attive.

Riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e

dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione

delle esigenze di cura, di vita e di lavoro

1. La Regione recepisce i principi di cui alla legge 10 dicembre 2014, n. 183 ed attua nel territorio regionale i decreti legislativi attuativi della medesima legge.

2. L’Assessore regionale per la famiglia, le politiche sociali e il lavoro è autorizzato a sottoscrivere le convenzioni ed i protocolli di intesa previsti dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 149, e dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150. Con successivi decreti, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio della Regione, è data applicazione, anche relativamente alle strutture e al personale, alle predette convenzioni.

3. Al comma 2 dell’articolo 63 della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9, dopo le parole “all’articolo 17 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22” sono aggiunte le parole “e successive modifiche ed integrazioni”.

Art. 13.

Organizzazione dei servizi per il lavoro

1. In attuazione del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, al fine di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) in materia di servizi e politiche attive del lavoro, al fine di garantire il potenziamento della funzionalità dei centri per l’impiego, previsto quale condizionalità ex ante del PO FSE 2014-2020, ed in particolare per l’implementazione dei servizi specialistici nonché il potenziamento dei servizi formativi (orientamento di base e specialistico, progettazione, percorsi formativi individualizzati, tutorship nell’attività di tirocinio, sportelli inclusione sociale, conciliazione e pari opportunità, sportello migranti, certificazione delle competenze, monitoraggio e valutazione), l’Assessorato regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro si avvale degli organismi in house providing della Regione e degli enti accreditati come Agenzie per il lavoro ai sensi della normativa vigente.

2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto dell’Assessore regionale per la famiglia, le politiche sociali e il lavoro, è istituito l’elenco unico ad esaurimento dei lavoratori provenienti dai servizi formativi di cui all’articolo 12 della legge regionale 26 novembre 2000, n. 24 e successive modifiche ed integrazioni.

3. Gli enti e gli organismi di cui al comma 1, per la realizzazione delle attività affidate dal dipartimento regionale del lavoro, dell’impiego, dell’orientamento, dei servizi e delle attività formative, si avvalgono prioritariamente dei lavoratori di cui al comma 2.

 

 

Senza infingimenti, l’Italia è rimasta spaventosamente indietro nell’adeguamento dei servizi per il lavoro pubblici (PES – Public Employment Services), e pensare di recuperare in questa direzione appare velleitario. Né è pensabile che il ruolo dei privati possa essere relegato a misure di dubbia utilità sociale quale l’assegno di ricollocazione, che a noi appare più che altro come un tema per deviare l’attenzione dall’inesistenza, almeno al momento, di un modello plausibile di servizi che possa essere all’altezza quanto meno degli altri paesi europei.

Un riscontro è dato da questo diagramma, contenuto nel Joint Employment Report 2017 della Commissione Europea:

In Italia alta percentuale di persona in cerca di lavoro che si trovano prive di occupazione da lungo tempo, e la più bassa percentuale, insieme alla Spagna, di persone che ricorrono ai servizi pubblici per l’impiego. Ci sarà pure un motivo.

L’argomento è stato pure toccato nel convegno “Creare Lavoro” a Catania il 2 dicembre 2016, e alcuni contenuti del quale si possono trovare nell’articolo “La UE, il Jobs Act, i servizi per il lavoro, le politiche attive”, su questo stesso blog di Itinerari per il Lavoro.

Se consideriamo acquisito che i servizi pubblici per l’impiego italiani non sono confrontabili con quelli degli altri paesi, possiamo vedere nella giusta ottica i risultati di ricerche internazionali come quella condotta da Gesine Stephan, “Public or private job placement services—Are private ones more effective?” per IZA World of Labor.  Queste le conclusioni:

Gesine Stephan, “Public or private job placement services—Are private ones more effective?”, IZA World of Labor

 

L’esternalizzazione servizi di collocamento [affidamento ai privati] potrebbe ridurre i costi e fornire un buffer di capacità di servizio in tempi di crescente disoccupazione. Tuttavia, l'agenzia statale responsabile deve assicurare un adeguato equilibrio tra i servizi e la qualità, e deve monitorare attentamente e valutare i risultati dei provider [fornitori di servizi] privati. L’evidenza rileva che le agenzie di lavoro pubbliche erano riuscite a collocare i disoccupati almeno tanto quanto i provider privati. L'esperienza dimostra che alti contributi basati sulle prestazioni per inserimenti lavorativi riusciti aumentano le prestazioni del provider privato sia nel breve e lungo termine, mentre alti contributi anticipati diminuiscono la probabilità di reimpiego per alcuni sottogruppi di lavoratori.

 

Quindi, se parliamo di servizi di collocamento in senso stretto funziona il finanziamento a risultato. Ma per i servizi per le politiche attive? Per le azioni di orientamento permanente? Nei territori in cui l’incrocio domanda-offerta è faticoso per il semplice motivo che l’offerta è abbondante e la domanda scarsa?

Sembrano domande retoriche ma non lo sono. Il modello dei servizi da implementare deriva anche dalle risposte date a domande di questo tipo. E in Italia? In Sicilia?

I servizi per il supporto all’occupabilità, quelli retribuiti, secondo lo stesso D.Lgs. 150/2015, “sulla base dei costi standard definiti dall'ANPAL e garantendo in ogni caso all'utente facolta' di scelta” non rientrano strettamente nella categoria “servizi di collocamento” (anche se il termine viene usato spesso, ma non in questo caso, in senso lato), per la quale alcuni dei provider del sistema hanno una vocazione specifica. La varietà dei nodi della rete dei servizi per le politiche del lavoro è una ricchezza da valorizzare.

Ripartiamo da alcuni dati sul personale dei CPI in Italia.

La Sicilia sembra a posto. Ma lo è? Che tipo di personale popola i CPI dell’isola? È comunque numericamente sufficiente?

Fino al 30 settembre 2013 i servizi pubblici di orientamento (e per le politiche attive in genere) in Sicilia sono stati garantiti (ma pensa) da un partenariato pubblico-privato, nato come progetto negli anni ’90 e realizzato nel 2000. Nel frattempo, nel 2011, è stato immesso, stabilizzandolo, nei CPI qualche centinaio di precari categoria A (operatore) e B (collaboratore amministrativo), essendo a metà degli anni 2000 naufragata la conclusione del progetto sportelli multifunzionali che doveva portare questi ultimi a diventare strutture pubbliche di presidio delle politiche attive del lavoro nei territori alle dipendenze dell’Agenzia Regionale per l’Impiego.

Da anno e mezzo circa, inoltre, stanno andando in pensione decine di impiegati dei livelli più alti, di categoria C (istruttore direttivo) e D (funzionario direttivo), per l’applicazione ai dipendenti regionali di criteri pre-Fornero. In ogni caso, anche con i numeri riportati, pure la Sicilia, indipendentemente dalle competenze del personale dei CPI, non ha servizi pubblici sufficienti a coprire i bisogni, e comunque resta in vigore la citata LR n.8/2016 che (re)introduce la sussidiarietà orizzontale.

Tra l’altro è da citare un articolo di MeridioNews (http://catania.meridionews.it/articolo/49890/acireale-da-mezzanotte-allalba-al-centro-per-limpiego-il-dirigente-caos-nessun-margine-di-miglioramento/) che, pure con qualche imprecisione, rappresenta con sufficiente fedeltà lo stato e l’approccio dei Centri per l’Impiego in Sicilia.

MeridioNews 17 dicembre 2016

Carmelo Lombardo

Acireale, da mezzanotte all'alba al centro per l'impiego

Il dirigente: «Caos? Nessun margine di miglioramento»

 

[…]

 

La giornata al centro per l'impiego di Acireale inizia dalle prime ore della notte. Tutti accorrono ad iscriversi in un elenco messo lì dal primo arrivato. Già a partire dalla mezzanotte ci sono persone che mangiano o pernottano nei pressi dell’edificio per potersi mettere in lista e rientrare nei primi ottanta le cui pratiche potranno essere seguite dal personale impiegato. Altrimenti bisogna tornare il giorno successivo e ricominciare da capo con una nuova lista. Qualcuna delega il marito, qualche altro l’amico, c’è chi non dorme da una notte intera e con cautela sorveglia il foglio, nel caso in cui qualcuno provasse a sostituirlo con un foglio nuovo. Alle 6.30 davanti ai cancelli ancora chiusi si forma una calca di gente. La lista è difesa gelosamente da chi ha trascorso la nottata e conta ben 108 iscritti. Le persone in esubero sperano che qualcuno desista così da entrare negli uffici per scorrimento.

 

[…]

 

Nel frattempo è nato anche il gruppo Facebook Disoccupati disperati del centro per l’impiego di Acireale, dove molti utenti cercano di confrontarsi e affrontare la scomoda situazione con un filo d’ironia. «Una volta al mese ci vediamo tutti lì, abbiamo stretto amicizia tra di noi, si è formato un sodalizio – spiega la fondatrice del gruppo – cerchiamo di darci consigli e ridere un po’ di tutto questo che ne ha del paradossale. Ho litigato anche con il dirigente per le condizioni in cui versano i locali».

 

[…]

 

 

Emerge in qualche modo il paradigma sotteso all’azione dei CPI: cliente-utente = ”pratica”. Il sostegno ai disoccupati (non solo ai percettori di indennità) consiste prevalentemente nella verifica dell’accesso a siti web di offerte di lavoro o dell’invio di curriculum per email, e nella conseguente “timbratura” della dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, così da riprodurre artificiosamente le rassicuranti (per la burocrazia) procedure precedenti al 2003, in una malintesa interpretazione del principio di condizionalità nella quale gli obblighi stanno da una parte sola. A chi e a cosa serve questo sistema? Certo che probabilmente nelle condizioni date era difficile immaginare altro. Emerge comunque la chiara esigenza di una visione politica dei servizi che guidi alla costruzione e implementazione di un impianto tecnico che abbia un senso nel contesto descritto in precedenza. Scrivere norme e disposizioni di vari livelli semplicemente per ottemperare ad un obbligo senza una meta coordinata non può che accentuare il degrado sociale, economico, istituzionale dei territori in cui queste distorsioni minimaliste hanno luogo.

In Sicilia, da settembre 2013 gli operatori delle politiche attive del lavoro che avevano gestito per 13 anni i servizi pubblici di orientamento (in modo certamente migliorabile, ma non erano gli operatori a gestire la governance) sono stati inseriti solo in due brevi progetti di faticosissima attuazione e sostenibilità. Un gruppo di operatori ha provato a passare da problema a parte della soluzione. Dopo aver condotto per oltre un anno una continua interlocuzione con livelli politici, tecnici e burocratici, ha costituito l’associazione Itinerari per il Lavoro con l’obiettivo di contribuire alla costruzione di servizi per il lavoro e interventi nell’ambito delle politiche attive del lavoro efficaci anche nell’interesse degli associati.

L’associazione Itinerari per il Lavoro ha sempre sostenuto la necessità di trovar e una soluzione occupazionale per tutti i circa 1.700 operatori rimasti di fatto senza lavoro, pur nella consapevolezza della difficoltà di individuazione di un’unica soluzione. In quale altro contesto in Italia si ignorerebbe la sorte di 1.700 lavoratori per anni?

Si sono messe in campo, in particolare, alcune idee e proposte, a partire dalla sussidiarietà orizzontale poi inserita nella citata legge regionale, che avrebbe consentito sicuramente un’offerta di servizi più adeguata ai bisogni; la trasformazione di un organismo in house della Regione Siciliana in agenzia tecnica intermedia per lo sviluppo di analisi e l’attuazione di azioni di sistema nel territorio; il progetto di autoimpiego degli operatori che fossero disponibili a farlo attraverso la costituzione di una rete di APL no profit di cui richiedere l’inserimento nell’albo nazionale delle agenzie per il lavoro e quindi l’accreditamento per i Servizi per il Lavoro della Regione Siciliana.

Le norme per l’accreditamento dei Servizi per il Lavoro della Regione Siciliana risalgono al marzo 2015, anche in ritardo rispetto ad altre Regioni. Già prima dell’emanazione, sulla base di bozze circolanti, Itinerari per il Lavoro (o meglio gli operatori che l’avrebbero costituita) ha provato a richiedere la modifica di alcuni punti di difficile applicabilità, la rettifica di alcune incoerenze e l’introduzione di una visione più adeguata ad un sistema con qualche chance di efficacia e sostenibilità. Allo scopo sono stati presentati a diversi decisori proposte formalizzate e cantierabili, schede di sintesi della ratio delle modifiche e rettifiche proposte, motivazioni e riferimenti ad altri territori. Nonostante i calorosi complimenti e apprezzamenti, anche per l’innovatività del modello reticolare no profit applicato al servizio, nonché le rassicurazioni a vari livelli guadagnati soprattutto nell’ultimo anno e mezzo, nel regolamento di accreditamento non è cambiata una virgola.

Per procedere alla costituzione delle agenzie era necessario eliminare dal regolamento l’esigenza dell’esistenza da almeno un anno e la “documentata esperienza” di almeno un anno nell’erogazione di tutti i servizi per cui si richiedeva l’accreditamento. Requisiti presenti solo nel sistema di accreditamento della Regione Lazio. Per inciso, rispetto alla delibera di giunta che l’ha approvato, nel regolamento pubblicato manca l’elencazione dei servizi da offrire per essere accreditati, e quindi bisogna fare riferimento alla stessa delibera. Abbiamo visto che i servizi devono essere offerti gratuitamente ai lavoratori, e per i servizi di orientamento e accompagnamento al lavoro o all’autoimpiego non c’è impresa che possa pagare il servizio. Come si fa ad aver offerto quei servizi per un anno se non a spese proprie? Inoltre, nei territori del Sud Italia, è noto che poche imprese sono disposte a pagare un servizio di intermediazione.

Giusto per citare un'altra richiesta, bisogna avere il servizio in funzione per 20 ore settimanali, sempre a spese proprie. Questo e altro sembra mutuato dalle regole per l’accreditamento dei servizi per Garanzia Giovani, che in alcune regioni hanno preceduto l’accreditamento dei servizi per il lavoro in genere, a programma avviato e quindi con la concreta possibilità di avere entrate immediatamente. Non è questa la situazione dei servizi per il lavoro accreditati in Sicilia al momento: non c’è alcun programma o piano attivo al momento che consenta entrate economiche.

Si è comunque proceduto alla costituzione delle agenzie no profit, attualmente 5 in 5 diverse province, confidando nella modifica delle regole (come era stato autorevolmente assicurato) o nell’applicazione del comma che esonera le APL iscritte all’albo nazionale dal dimostrare il possesso dei requisiti.

A inizio 2017 è stato avviato l’audit per l’accreditamento dei servizi. Il risultato è stato la sospensione dell’accreditamento di diversi soggetti eccellenti, come è possibile riscontrare in uno degli allegati a questo articolo. Perché? Non conosciamo le ragioni specifiche, ma siamo al corrente di un atteggiamento collaborativo da parte degli Ispettorati Territoriali del Lavoro, che di fatto cercano di aiutare il soggetto ad ottemperare alle disposizioni. Se nonostante questo si arriva alla sospensione in numerosi casi, evidentemente il problema è di sistema e non soggettivo.

Dallo staff apicale di un’altra Regione ci è stato chiesto: “Ma la documentazione che hanno chiesto all’audit non è uguale a quella richiesta al momento di presentazione dell’istanza?” Domanda illuminante: no, affatto. Il dettaglio di molti requisiti e la conseguente documentazione richiesta sono nate con l’audit. Quindi i numerosi soggetti che hanno deciso di aprire sedi in Sicilia, avviare nuove attività, ecc., non hanno potuto valutare consapevolmente le eventuali difficoltà da affrontare e la sostenibilità dell’iniziativa. I requisiti imposti per i locali, con l’audit e non nel regolamento, sono identici a quelli imposti ai centri di formazione professionale. Poteva una multinazionale della somministrazione di lavoro immaginare che può operare con i suoi uffici standard fino a Reggio Calabria e in Sicilia invece doveva trasformarli in centri di formazione professionale? Può un sistema economico contemplare al suo interno su una gestione politico-burocratica di questo tipo? Non è anche con criteri di questo genere che si uccide una Regione? E nel dire questo non mettiamo nemmeno in discussione la buonafede dei decisori. Sono gli effetti che sono distruttivi, e non potevano non essere previsti.

Come ultimo elemento, mentre in Parlamento è vicina all’approvazione definitiva la legge sul lavoro agile e sul lavoro autonomo non imprenditoriale, l’audit dell’accreditamento in Sicilia prevede che anche le APL no profit abbiano contratti di assunzione per le figure previste dal regolamento. Assunti senza avere entrate? Nel momento in cui il D.Lgs. 276/2003, attuativo della cosiddetta “Legge Biagi”, introdusse le varie tipologie di agenzie per il lavoro e il regime particolare di autorizzazione per le associazioni senza scopo di lucro, anche per queste era prevista l’assunzione del personale qualificato, ma anche il riconoscimento istituzionale nazionale. Successivamente la platea è stata allargata alle associazioni con riconoscimento regionale e quindi è stato eliminato il requisito del riconoscimento e con quello, nelle norme di modifica, non si è fatto più riferimento all’obbligo di assunzione per questi soggetti. D’altra parte la ratio è stata quella di creare le condizioni perché più soggetti fossero messi nelle condizioni di offrire i servizi legati all’intermediazione di lavoro.

Ovviamente gli operatori che hanno costituito le APL no profit sarebbero ben felici di potersi “autoassumere”, a fronte di un’attività gestita con criteri di economicità, e quindi di sostenibilità, anche alla luce delle scarsissime risorse personali residue, prosciugate da una gestione più inesistente che approssimativa della situazione occupazionale da parte dei vertici regionali. Ma così non è. Inoltre, nelle agenzie costituite sono stati inseriti come soci anche alcuni professionisti che costituiscono un valore aggiunto, che sono disposti ad operare anche in parte gratuitamente, ma che certo non pensano ad un’assunzione pur contribuendo in maniera continua e di qualità all’organizzazione. Per garantire l’”effettiva presenza” delle figure non basta un contratto di collaborazione professionale aperto, magari registrato? Per l’esperienza necessaria non basta quella dei soci e collaboratori? Si può totalmente ignorare l’esigenza di agevolare il reimpiego di questi operatori che pure stanno provando a cavarsela senza ricorrere ad assistenzialismo e clientele?

Allegati:

  sicilia_-_accreditamento_accorpato.pdf

  sicilia_-_delibera_080_15_allegato_c.pdf

  sicilia_-_audit_accreditamento.pdf

  sicilia_-_accreditati_spl_al_31-03-2017.pdf

  elenco_soggetti_accreditati_apl_al_14-04-2017.pdf

LA UE, IL JOBS ACT, I SERVIZI PER IL LAVORO, LE POLITICHE ATTIVE

CREARE LAVORO – Catania 2 dicembre 2016

Lo scorso 2 dicembre (2016) si è tenuto a Catania un interessante convegno organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania sul tema Lavoro, con autorevoli relatori, portatori oltre che di contenuti anche di visioni e valutazioni. Tracciamo un percorso dei contenuti che riguardano più direttamente l’ecosistema in cui si svolge l’azione di Itinerari per il Lavoro.

L’evoluzione della strategia UE in cui si inquadra il cosiddetto Jobs Act (L. 183/2014 e i 9 decreti attuativi, considerando anche il decreto correttivo del 2016) è stata molto ben tracciata dal prof. Edoardo Ales dell’Università di Cassino.

In sintesi, gli obiettivi UE sono il pieno impiego, in contrasto all'esclusione sociale (che dovrebbe realizzarsi principalmente attraverso il lavoro) e la coesione sociale. Le strategie europee per l'occupazione non dipendono da chi guida un governo nazionale, e quindi nemmeno dal capo del governo italiano.

L'inizio del percorso va fissato nel 1997, al vertice di Lussemburgo, che precede il trattato di Amsterdam. Lo sviluppo della dimensione sociale nella UE è dovuto al focus Occupazione. L'approccio UE è paradigmatico, non orientato alla regolazione ma alle politiche, e quindi alla cooperazione tra stati membri e tra stati membri e UE. Si tratta quindi di soft law e non di hard law e costituisce uno stimolo per le realtà nazionali a stabilire cooperazioni virtuose con il coordinamento della UE. Non si tratta di un processo bottom-up ma circolare e dinamico tra le entità coinvolte. Le istituzioni UE non sono altro rispetto agli stati membri, come affermato da certa politica, ma nascono dagli stati membri, che ne fanno parte. L’Europa siamo anche noi: niente è calato dall’alto ma tutto è frutto di una “circuitazione”.

Sono 3 i pilastri che caratterizzano queste politiche per l’occupazione, in un approccio fortemente influenzato dal “quantitativo”, dal riscontro numerico di occupati e non occupati:

  1. Adattabilità e job creation, cioè lo stimolo alla creazione di posti di lavoro. Non c'è separazione tra diritto del lavoro e mercato del lavoro (come si vuole intendere quando si parla di "diritto dell'impiego", espressione criticata dal prof. Del Conte, perché sottintende un rapporto di lavoro subordinato mentre il lavoro è ormai un concetto molto più ampio che comprende, tra l'altro, l'autoimpiego). Ne è testimonianza la flexicurity, che coniuga i due ambiti ed è alla base di un nuovo paradigma del Diritto del Lavoro. Più che la flessibilità, l'aspetto cardinale è l'adattabilità (del lavoratore), che consente all'impresa di essere adattabile, di adattarsi cioè ai cambiamenti vorticosi del mercato. La job creation contempla anche la stimolazione dell'autoimprenditorialità e non solo il lavoro subordinato.
  2. Attivazione e stimolo ai servizi per l'impiego. L'efficacia dei servizi per l'impiego è un altro elemento fondamentale. Non c'è separazione tra aspetti previdenziali e servizi per il lavoro, e le risorse destinate all'assistenza vanno orientate verso politiche di attivazione. Cioè le misure di politica passiva, di sostegno al reddito, vanno inesorabilmente coniugate con misure di politica attiva del lavoro.
  3. Condizionalità. Non c'è protezione sociale senza un contributo attivo del soggetto beneficiario, e questo non per un sadismo intrinseco del sistema ma perché si è determinato che i sistemi di assistenza sociale pura sono delle trappole nelle quali l’individuo rimane inattivo.

La strategia europea per l'occupazione dal 1997 al 2005 [un’analisi della quale è reperibile qui: http://www.labeleuropeolingue.it/guida/biblioteca/dieci.pdf] si è basata su linee guida annuali, cosa che ha indotto una continua rincorsa degli stati membri per l'attuazione delle linee guida entro l'anno di validità.

Con il Consiglio di Lisbona nel 2000 viene introdotto il metodo di coordinamento aperto nella strategia per l'occupazione, che tocca anche le politiche di inclusione sociale.

Nel 2005 la Commissione Barroso cambia il paradigma del trattato di Roma: la dimensione sociale viene considerata legata a quella economica. Qualcuno ha criticato questa visione sostenendo che la dimensione sociale viene subordinata a quella economica. Il sociale era considerato materia di soft law, coordinamento, mentre ora, comprendendo la dimensione economica, si va verso l'hard law della convergenza. Nelle linee guida si integrano la dimensione economica e quella sociale. Da questa visione nasce anche Garanzia Giovani.

Una terza tipologia di intervento non si basa più su linee guida ma su una regolamentazione (es.: Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione), e non più in termini di monitoraggio ma di sorveglianza.

Gli obiettivi UE di questa strategia integrata sono 3:

  1. Pieno impiego. Il riferimento è l'art. 3 del trattato UE. Si articola i 3 sotto-obiettivi:

a. L'impiego del disoccupato e il supporto al disoccupato (con elementi di macroeconomia). Non solo stimolo, ma anche sostegno a chi si è attivato. Si è iniziato a parlare di European Unemployment Benefit Scheme [http://ec.europa.eu/social/BlobServlet?docId=14491&langId=en], cioè di una prestazione non più finanziata dagli stati nazionali ma dalla UE.

b. L'attivazione degli inattivi. L’aumento del numero di soggetti che da inattivi iniziano a cercare occupazione, e quindi aumentano il numero di disoccupati, è in sé un fatto positivo.

c. Diritto del lavoro orientato all'adattabilità, altrimenti si negherebbe la complessità del mercato e si ostacolerebbe l'adattamento dell'impresa, quindi sarebbe di freno allo sviluppo economico. Bisogna pensare ad un diritto del lavoro che corrisponda elle esigenze di adattabilità ma che riesca anche a sviluppare gli anticorpi contro la precarietà del lavoro. Lavoratore adattabile non significa lavoratore precario. La nuova disciplina delle mansioni (ora modificabili) va in questa direzione.

  1. Contrasto dell'esclusione sociale. Cioè favorire l'inclusione sociale: i documenti comunitari dicono che l’inclusione sociale passa attraverso il lavoro. Cioè il lavoro è strumento fondamentale di inclusione sociale. La nostra Costituzione lo ribadisce almeno 3 volte (articoli 1, 3 e 4): la vera cittadinanza è cittadinanza nel lavoro. C’è una fortissima corrente di pensiero che invece sostiene che la cittadinanza si fa attraverso il reddito minimo garantito, ma queste tesi rischiano di far tornare verso l'assistenza. Laddove si è sperimentato questo modello i risultati non sono stati soddisfacenti. Quindi l'abbandono della logica della pura assistenza è nell'interesse dei lavoratori. Se il reddito prevede forme di attivazione non è più "reddito di cittadinanza" ma "reddito di attivazione" o di sostegno ai non occupati nella ricerca attiva di un lavoro, un sostegno che duri finché la ricerca non abbia un esito positivo. D'altra parte una visione puramente assistenziale è in contrasto con quanto previsto dal comma 1 dell'art. 38 della Costituzione.
  2. Coesione sociale. Prevista dal trattato UE, si propone di migliorare e uniformare le condizioni di vita e di lavoro dei cittadini UE. Questo comporterebbe l’eliminazione dei differenziali tra le regioni. Non sarebbe possibile, ad esempio, appaltare in Germania (caso realmente accaduto) con lavoratori polacchi e retribuirli secondo i salari polacchi. Una corte tedesca ha invece sentenziato che i lavoratori vanno retribuiti secondo le condizioni contrattuali polacche, come previsto dal bando e in contrasto con il diritto comunitario.

Lo scenario UE si sta evolvendo nella direzione dell'integrazione dei 3 obiettivi. Parte dalla soft law, il coordinamento, e va verso la convergenza, hard law, coniugando dimensione economica e sociale. La stessa direzione prendono le linee guida, che diventano cogenti.

Il percorso seguito dalle strategie europee per l’occupazione e la confluenza di politiche di inclusione sociale e del lavoro indicano che almeno la linea del D.Lgs. 150/2015 del Jobs Act riguardante i servizi per il lavoro e le politiche attive non ha grandi alternative, se non nelle scelte di implementazione pratica. Emerge altresì che il ruolo delle organizzazioni no profit nei servizi per il lavoro e per le politiche attive è di rilevanza centrale, proprio per la valenza sociale e certamente non burocratica che i servizi offerti devono garantire, non essendo il servizio pubblico sufficiente sotto diversi aspetti a rispondere ai bisogni (come ha sostenuto Sergio Vergari e come riportato più avanti), né possono esserlo sul piano sociale le agenzie private che mirano al profitto attraverso l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro.

Maurizio Del Conte ha espresso il suo dissenso verso la concezione che considera separati il Diritto del Lavoro e il cosiddetto “Diritto dell’Impiego”, che invece sono significativamente connessi quando si parla di attivazione, di ricerca del lavoro e non solo, e quindi sarebbe meglio definire il secondo ambito “Diritto dell’Occupazione”. Ha rassicurato rispetto al timore delle Regioni più virtuose di subire un appiattimento verso il basso. La direzione che si intende prendere è opposta, comunque nel rispetto di specificità regionali. Pilastro dell’azione dell’Anpal è il sistema informativo, che confidiamo implementi presto realmente le funzionalità necessarie e promesse per tutti gli operatori della rete dei servizi per le politiche attive del lavoro. Non risulta possibile, ad esempio, per gli operatori no profit adempiere agli obblighi previsti dal D.Lgs. 276/2003 (conferimento dei dati acquisiti in base alle indicazioni rese dai lavoratori e a quelle rese dalle imprese).

Per quanto riguarda l’assegno di ricollocazione, la sperimentazione va necessariamente condotta su tutto il territorio nazionale e consentirà una valutazione complessiva della misura, a partire dalla sua appetibilità per i percettori di sostegno al reddito.

Il D.Lgs. 150 non propone una visione centralista, ma responsabilizza il livello statale, con un coordinamento del sistema, attivando una complementarità tra azione nazionale e regionale che funga da moltiplicatore dell’efficacia dei servizi per il lavoro, per i quali resta determinante la dimensione territoriale. Ci deve essere un sistema di politiche attive che funzioni in tutti i territori.

Il prof. Del Conte aveva preannunciato che dopo il 4 dicembre si sarebbe aperta in ogni caso una fase interessante.

Infine, dopo aver offerto ulteriori contributi ai temi trattati da Ales, Del Conte ha sottolineato che l’attivazione del lavoratore legata al sostegno al reddito (e cioè la convergenza tra politiche passive e attive del lavoro) non ce la siamo inventata né oggi né in Italia ma è ormai una consolidata strategia UE, e come tale ineludibile.

Molto interessante la seconda parte dell’intervento di Sergio Vergari, direttore dell’Ispettorato del Lavoro di Trento. Ha confermato che nell’attuazione del D.Lgs. 150/2015 l’intenzione è sicuramente quella di valorizzare le esperienze delle Regioni più avanzate in una logica di condivisione e integrazione in un sistema unitario. La rete nazionale è un contenitore importantissimo che consente piena collaborazione, in cui tutti i soggetti interessati si possono riconoscere, e va valorizzato. C’è tuttavia una carenza di regole che definiscano i rapporti tra le reti regionali esistenti e la nuova rete nazionale. Inoltre nel D.Lgs. 150 non vengono citate le Regioni ma solo le loro strutture.

Bisognerebbe mantenere l’accreditamento come unico percorso per ottenere ”in concessione” l’erogazione di un servizio pubblico, riservando l’autorizzazione nazionale all’attività privata. Questo per salvaguardare il diritto del sistema pubblico ad alzare l’asticella con criteri che non siano quelli del mercato. Questo è importante anche per la necessità che i soggetti accreditati offrano anche i servizi previsti dall’art. 18 del D.Lgs. 150. Questa è esattamente l’ottica in cui agisce Itinerari per il Lavoro, e sono i servizi indicati dal comma 1 dell’articolo 18 quelli per cui è rilevante l’azione delle organizzazioni no profit, nel regime di sussidiarietà previsto dal comma 2 dello stesso articolo, tenuto conto delle rilevantissime discrepanze tra il numero degli addetti ai servizi per il lavoro italiani rispetto a quelli delle maggiori nazioni europee.

Per quanto riguarda il potere sostitutivo dell’Anpal rispetto alle Regioni, gli spazi che potrà prendere l’Anpal dipenderanno dall’efficacia delle azioni delle Regioni.

C’è il rischio per i CPI di un ritorno neoburocratico, ad esempio nelle procedure che riguardano la condizionalità e i patti di servizio.

Uno dei problemi riguarda la necessità di conciliare la parità di trattamento con la personalizzazione dei servizi, con il rischio dell’introduzione di un eccesso di soggettività da parte dell’operatore, anche nella fase di profiling. Bisogna guardare all’introduzione di tecniche predittive, in grado di indagare, ad esempio, perché nei patti di servizio vengono inseriti alcuni elementi e altri no.

Altre questioni che aspettano risposte riguardano la definizione delle unità di costo standard [che consentono la sussidiarietà nei servizi di cui all’art.18 del D.Lgs. 150] e la definizione di standard nazionali, tenendo presente che il concetto di LEP rientra in una logica diritti/doveri mentre il Jobs Act si inquadra in una logica di efficacia dei servizi.

Per quanto riguarda l’assegno di ricollocazione, sembra più adatto a chi è più vicino al mercato del lavoro che a chi ne è lontano. Inoltre non ci sono solo i percettori di sostegno al reddito, che in qualche modo fruiscono già di una tutela: i servizi vanno offerti a tutti i disoccupati.

Bisogna capire inoltre in che modo la condizionalità va applicata ai soggetti in assistenza intensiva.

Per quanto riguarda la concorrenza tra soggetti che offrono servizi per il lavoro, è il cittadino che regola il mercato con la scelta dell’operatore, ma i territori hanno diversità, ad esempio con zone con CPI deboli o privati latitanti per assenza di mercato. Quindi noi reputiamo necessario un coordinamento bilanciato e tarato sulle caratteristiche territoriali delle risorse, delle azioni e delle misure.

Per il prof. Marco Esposito, dell’Università Parthenope di Napoli, l’assegno di ricollocazione sembra un’anomalia a vantaggio delle agenzie di somministrazione, che potrebbero non fare altro che valorizzare in house il bonus decontribuzione della legge di bilancio, assumendo a tempo indeterminato il lavoratore, coniugandolo con il voucher dell’assegno di ricollocazione, ma qualcuno lo può vedere come stimolo a fargli fare quello che avrebbero sempre dovuto fare.

Francesco Giubileo, sociologo e membro del CDA dell’Afol Metropolitana di Milano, ha esposto le caratteristiche e le criticità del modello anglosassone dei servizi per il lavoro “Welfare to work”, caratterizzato da una complementarità pura tra pubblico e privato e fortemente orientato al risultato occupazionale, al punto che i service providers sono retribuiti quasi interamente a risultati occupazionali raggiunti, in termini di lavoro duraturo ottenuto dai partecipanti. Gli importi sono tanto più alti quanto più il partecipante è lontano dal mercato del lavoro. I service providers locali sono considerati i più indicati per identificare il modo più efficace per supportare l’inserimento nel lavoro duraturo ed è stata loro data libertà operativa senza particolari prescrizioni dalle istituzioni governative. I servizi providers sono liberi di innovare. Il paese è suddiviso in 18 aree contrattuali nelle quali i prime providers attuano contratti di servizio quinquennali. Tra i prime providers ci sono soggetti privati profit e no profit e soggetti pubblici.

Il percorso di supporto ai disoccupati è strutturato a stadi successivi: 3-3-6 mesi curati da Jobcentre Plus, con livello di gestione dell’attivazione del lavoratore crescente. I privati entrano in campo nella quarta fase (Work Programme), con un supporto personalizzato di una durata massima di 24 mesi. Le slide di riferimento si possono trovare qui: http://www.pietroichino.it/wp-content/uploads/2015/11/The-Merlin-Standard-PPT-x-Pietro-Ichino.pdf
Giubileo ha sottolineato come i risultati del servizio siano significativamente correlati alle competenze degli operatori. Ad esempio, il servizio Eures dell’Afol Metropolitana di Milano è estremamente efficace pur essendo offerto solo da 4 operatori, ma di competenze elevate, anche linguistiche.

Ruolo fondamentale è la valutazione del servizio, non il semplice monitoraggio, aspetto decisamente carente in Italia, unico stato europeo, ad esempio, a non aver attivato una valutazione degli esiti del programma Garanzia Giovani.

LA UE, IL JOBS ACT, I SERVIZI PER IL LAVORO, LE POLITICHE ATTIVE

SERVIZI LAVORO SICILIA: LETTERA DEL NOSTRO PRESIDENTE

In occasione della convocazione di una seduta della Commissione Cultura, Formazione e Lavoro dell'Assemblea Regionale Siciliana, il nostro Presidente scrive al Presidente della Commisisone, e per conoscenza agli Assessori del Lavoro e della Formazione:

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Catania, 6 agosto 2016

Oggetto: Convocazione seduta della V Commissione del 9 agosto 2016

Egr. Onorevole Presidente,

veniamo a conoscenza della convocazione dell’ennesima seduta di audizioni “in ordine alle problematiche del settore della formazione professionale e dei dipendenti degli sportelli multifunzionali.” Ennesima seduta di questa legislatura con lo stesso argomento e con lo stesso difetto di rappresentatività di alcuni dei convocati.

Sembra di assistere al protrarsi di una pantomima, di un gioco delle parti tra pupi e presunti pupari, immutabile da anni mentre le soluzioni reali attendono il proprio turno vittime di una malintesa ricerca del compiacimento di amici e di amici degli amici, del facile applauso su provvedimenti di dubbia efficacia.

Itinerari per il Lavoro sostiene la prosecuzione del percorso che ha trovato formalizzazione nell’articolo 13 della LR 8/2016 laddove si stabilisce che la Regione Siciliana offre i servizi previsti dal D.Lgs. n.150/2015 anche attraverso i soggetti privati accreditati e l’ente in house. Ciò che doveva conseguirne nei tempi più brevi possibili era ed è l’adeguamento dei criteri di accreditamento per renderli efficaci, realmente applicabili e conformi a quanto in atto nel resto d’Italia (visto che attraverso l’Anpal il sistema dovrà dichiaratamente essere omogeneo anche nelle Regioni e Province a statuto speciale), e l’avviamento delle azioni così come già avvenuto in numerose Regioni.

La nostra associazione ritiene importante il piano di riduzione del personale in fase di definizione con il Ministero del Lavoro, ma che evidentemente non sarà attivo in tempi brevi.

Riteniamo che i quasi tre anni trascorsi dalla soppressione dei servizi di orientamento della Regione Siciliana rappresentati dagli sportelli multifunzionali richiederebbero una maggiore efficacia concreta e una rapidità di azione non più rinviabile e non più frenata da quadriglie e minuetti che illudono ciascuno degli attori che si stiano tutelando proprio i suoi interessi, anche i meno difendibili, mentre il sistema dei servizi per il lavoro resta di fatto impantanato e gli operatori in attesa di poter operare e privi di reddito.

Esprimendo il nostro rammarico, ribadiamo il nostro impegno ad ogni livello e con ogni mezzo nel perseguimento degli obiettivi dell’associazione, a tutela dell’interesse dei soci nel quadro di un interesse generale. In quest’ottica daremo, come sempre, ampia diffusione alle nostre riflessioni.

Distinti saluti

                                                                                                                              Il Presidente di Itinerari per il Lavoro

                                                                                                                                              (Salvatore Alessandro)

 

SERVIZI LAVORO SICILIA: LETTERA DEL NOSTRO PRESIDENTE
SERVIZI LAVORO SICILIA: LETTERA DEL NOSTRO PRESIDENTE

RAPPRESENTANZA

Dallo statuto di Itinerari per il Lavoro, articolo 2, comma 1, lettera a:

Articolo 2
Scopi e oggetto
1. L’Associazione ha lo scopo di:
a. rappresentare e tutelare gli interessi di carattere generale e collettivo degli Associati nell’ambito delle politiche attive del lavoro, risolvendo, ove possibile, anche specifiche problematiche del singolo Associato;

Ricordiamo che Itinerari per il Lavoro ha soci in 8 province della Sicilia.

La Repubblica - Dizionari:

rappresentanza
[rap-pre-ṣen-tàn-za]
s.f.

1 Azione e risultato del rappresentare una persona o un ente, tutelandone i diritti e gli interessi
|| In rappresentanza di, per conto di, in nome di: il ministro ha assistito alla cerimonia in r. del governo
|| estens. Di rappresentanza, riferito a ciò che serve a garantire e mantenere un'immagine prestigiosa legata a una carica, un ufficio pubblico e sim.: spese, indennità di r.; appartamento di r.
|| scherz. Moglie, marito di rappresentanza, di bell'aspetto e brillante in società

2 Persona, insieme di persone, ente che rappresenta qualcuno o qualcosa: sono giunte a Roma le rappresentanze diplomatiche di
numerosi paesi stranieri; una r. degli operai è stata ricevuta dal direttore

3 COMM Attività del rappresentante commerciale: aprire un ufficio di r. commerciale; ottenere la r. per l'Italia di una ditta straniera

4 DIR Azione e risultato del curare gli affari altrui, nel compimento di attività di rilievo giuridico
|| Rappresentanza impropria, quando il rappresentante agisce a proprio nome e per conto di altri
|| Rappresentanza legale, stabilita dalla legge
|| Rappresentanza proporzionale, scelta di rappresentanti in proporzione al numero dei voti ottenuti da una lista di candidati o al numero dei componenti l'assemblea elettiva
|| Rappresentanza volontaria, assegnata per procura

5 POLIT L'esercizio della sovranità popolare per mezzo di rappresentanti liberamente eletti

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